Perché la politica di professione non ritrova fiducia nei cittadini? Semplice, perché la politica – soprattutto quella che si definisce “di sinistra” – si è imborghesita.

La crisi di partecipazione politica, causata, da un lato, dall’assenza di figure carismatiche di spessore, dall’altro, dalla sfiducia della cittadinanza in quei rappresentanti istituzionali che dovrebbero garantirne benessere e diritti, ha prodotto quel malcontento popolare oramai divenuto trasversale. Nessuno crede più alla cosiddetta “ultima spiaggia” ossia a quel partito o movimento che, volta per volta, si sono avvicendati, promettendo la risoluzione dei problemi sociali, politici, economici. 

I grandi partiti e movimenti tentano di costituire, volta per volta, associazioni, liste civiche, piccoli “partitini” e movimenti trasversali che, in apparenza, nascono spontaneamente dal basso. In realtà sono il goffo tentativo di illudere la cittadinanza, captando il malcontento e riportandolo ubbidiente al voto. Il risultato è l’inesorabile “inciucio” finale con i vecchi partiti di maggioranza, sfiduciati in precedenza dai cittadini che, beffati una seconda volta, se li ritrovano, ancora, al potere. I partiti politici, di destra e di sinistra, hanno demandato, di fatto, i loro compiti a governi tecnici i quali, avvicendandosi, hanno operato quelle misure aggressive e muscolari che “i politici” non avevano il coraggio di operare. Lo abbiamo constatato negli ultimi decenni, con la progressiva erosione dei diritti nel mondo del lavoro e delle pensioni. 

Perché la politica di professione non ritrova fiducia nei cittadini? Semplice, perché la politica – soprattutto quella che si definisce “di sinistra” – si è imborghesita. È distante dalla vita dell’uomo della strada, lontana dalle sofferenze quotidiane del sottoproletariato urbano. Non esistono giovani politici “figli di povera gente”, che si ergono in mezzo al marasma dei lavoratori della base. Tutti i giovani candidati sono, a loro modo, dei privilegiati, che parlano, si vestono, da persone semplici ma, di fatto, non hanno faticato un solo giorno. A nulla serve creare questo, o quel movimento politico, che organizza sit-in e gazebi, anche nelle periferie, se i rappresentanti istituzionali vengono sempre da quella piccola o media borghesia, se non addirittura dalla classe agiata. Una volta eletti, non sanno, non capiscono, non sentono il bisogno di estirpare in concreto i problemi degli elettori. Una politica che voglia, ancora una volta, attrarre l’attenzione della cittadinanza, deve ricominciare dalla classe operaia. 

Che cos’è oggi la classe operaia? Non è più quel sentimento di categoria che animava tutti i lavoratori, e che li univa, in un intento comune. Oggi questa “classe” è semplicemente quel gruppo di persone i cui individui privilegiano come fonte di reddito il lavoro, rispetto ai redditi finanziari e di tipo imprenditoriale. I voti sono lì: sono, in particolare, nel nuovo sottoproletariato dell’era digitale (logistica, Amazon); tra gli operai della vigilanza, Guardie Particolari Giurate (vigilanza armata) e Servizi Fiduciari (vigilanza non armata); tra gli Oss (operatori socio-sanitari); e tra gli operai delle cooperative sociali. Queste figure rappresentano, in modi diversi, la stessa faccia dello sviluppo economico-finanziario che, nell’era pandemica, hanno faticato più di altri, assumendo nuovi, gravosi compiti, senza tuttavia ricavarne nulla in merito a retribuzione e di diritti. Bisogna tornare a dare dignità agli operai; ma per farlo dobbiamo dare loro attenzione. Dare attenzione alla classe operaia.