Giuseppe Conte, infatti, nel suo intervento al Senato aveva appellato il ministro degli interni con questa connotazione: autoritario, privo di cultura costituzionale e irrispettoso delle regole, irresponsabile, sleale, sino alla stilettata velenosa della replica finale: “politico senza coraggio”. L’epiteto di codardo è quello che più pesa e peserà sull’immagine del “capitano”.
Un’anamnesi psicologico caratteriale degna di una seduta psicanalitica. Mai si era vista, nella storia politica e parlamentare italiana, una crisi di governo con una requisitoria pubblica così feroce del presidente del consiglio contro il suo vice e ministro degli interni.
Finisce così l’esperienza del governo giallo verde che segna, da un lato, la rinascita di un nuovo leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte, e, dall’altra, l’inizio della “Quaresima salviniana”, ricordando una metafora che Fanfani utilizzò per Forlani, in un lontano congresso della DC, quello del patto di Palazzo Giustiniani (6 Giugno 1973).
Alla “Quaresima di Salvini” si aggiunge il declino della guida politica del M5S di Luigi Di Maio, responsabile del crollo elettorale subito dal partito dopo quindici mesi di un governo, nel quale il M5S ha subito costantemente l’egemonia della Lega salviniana parlamentarmente più debole.
Salvini paga gli errori di una strategia ondivaga, tra annunci e contro annunci, tempi errati nella tattica utilizzata, presentazione e ritiro di mozione di sfiducia al governo, senza dimissioni sue e dei ministri leghisti. Insomma una strategia fallimentare, tanto che nella seduta di ieri il ministro degli interni, anche nel suo confuso intervento, sembrava un pugile suonato, “groggy”, alle soglie del KO tecnico.
Ovviamente, come ricordò Fanfani, dopo il patto con Moro per liquidare la segreteria Forlani, “dopo la Quaresima ritorna la Resurrezione”, e così potrà essere anche per Salvini, se saprà correggere gli errori di conduzione politica commessi in questa fase della politica italiana e del suo partito.
Aperta la crisi di governo, spetta al saggio presidente Mattarella il compito di accertare se esistono le condizioni per una nuova maggioranza parlamentare in grado di reggere per l’intera legislatura o se, invece, si debba andare a elezioni anticipate, salvo passare per un governo di garanzia per lo svolgimento delle elezioni stesse.
Per quanto è emerso dalle dichiarazioni di voto al Senato, se il passaggio obbligato sembra essere quello di una possibile maggioranza M5S-PD, con tutte le difficoltà interne ed esterne ai due partiti, ieri abbiamo assistito alla riconfermata e per certi versi incomprensibile disponibilità della Lega a un nuovo tentativo con i grillini, oltre alla richiesta del voto anticipato; alla reiterata dichiarazione di Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia per l’immediato ricorso al voto e per dar vita a una maggioranza sovranista e nazionalista Lega-FdI, con l’esclusione di Forza Italia; al timido cinguettio di quest’ultima che, con gli interventi della Bernini e di Gasparri, continuano a reclamare elezioni (?!) e il ritorno al centro destra a trazione salviniana, senza dar peso all’esclusione, quanto meno sottaciuta di Forza Italia da parte sia della Meloni che dello stesso Salvini, almeno sino a quando questi vestiva i panni del Rodomonte tuttofare.
Se veramente si andasse a elezioni anticipate, anche stavolta sarebbe impossibile la partecipazione di un partito di ispirazione cristiana, persistendo una diaspora suicida e assurda, espressione, da un lato, della “maledizione di Moro” e , dall’altra, della stupidità di tutti noi, eredi indegni dei nostri padri fondatori. Le abbiamo tentate tutte nel lungo travaglio politico dei cattolici italiani, dopo la fine della DC ( 1993-94) e sino ai nostri giorni, ma, almeno sin qui, rimangono velleitarie le nostre indicazioni e pressoché nulli i risultati politico organizzativi concreti in grado di ricomporre ciò che resta della tradizione democratico cristiana e popolare italiana.
Ieri Giuseppe Conte è riuscito nell’impresa di parlare come un politico di cultura democratico cristiana, fedele servitore delle istituzioni, della Costituzione repubblicana e dello stato di diritto, autentico leader di un movimento che, grazie anche agli errori di Salvini, sta assumendo oggettivamente il ruolo di asse centrale della politica italiana.
Certo il M5S dalla sua nascita con la cultura dei “vaffa…” e la sua struttura aziendale privatistica non può essere il modello di riferimento in grado di rappresentare gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, che sono stati quelli cui ha sempre fatto riferimento la Democrazia Cristiana. Oltre tutto, gli esempi forniti sin qui, tanto a livello locale che di governo nazionale, hanno scontato il livello di improvvisazione e di prevalente scarsa competenza professionale politica e amministrativa dei dirigenti grillini.
Non vi sono dubbi, però, sulla buona fede di una classe dirigente nuova di giovani che hanno inteso rappresentare ansie e bisogni diffusi in larghi strati della società italiana, rispetto ai quali noi “ DC non pentiti” abbiamo il dovere di guardare con estrema attenzione.
Anche la triste formula della “decrescita felice” deve farci meditare tutti noi che, sulla questione ambientale e su quella antropologica, abbiamo il dovere di dare risposte, alla luce degli insegnamenti della dottrina sociale cristiana espressi dalle ultime encicliche sociali: dalla “Centesimus Annus” di Papa San Giovanni Paolo II, alla “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI, sino alla “Evangelii Gaudium” e la “Laudato Si” di Papa Francesco. Che si debba puntare a un nuovo tipo di economia, dando prevalenza a quella reale contro il dominio dei poteri finanziari sta scritto in tutti i nostri testi teologico pastorali citati, nella quale porre in essere politiche economicamente, socialmente e ambientalmente sostenibili, è una delle motivazioni più importanti di possibile intesa con il Movimento 5 Stelle.
Non va sottovalutata, poi, la scelta europea fatta dal M5S a sostegno della neo presidente Ursula von der Leyen, popolare, ossia autorevolissima espressione del PPE cui facciamo anche noi riferimento.
C’è, infine, una ragione più profonda che ci può collegare a questo nuovo centro della politica italiana, nel quale potremmo apportare il contributo della nostra migliore tradizione culturale e politica: il M5S tra i suoi primi obiettivi programmatici, ahimè sin qui solo enunciati, contiene quello che da molto tempo anche noi DC andiamo sostenendo:
a) il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Italia;
b) la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.
Trattasi di due riforme propedeutiche a ogni altro tipo di riforma economica e sociale, senza delle quali, ogni progetto riformatore risulterebbe vano.
Incapaci di realizzare, nei tempi brevi che la politica italiana ci impone, l’unità di tutti i DC, credo andrebbe accelerato il progetto di concorrere alla creazione di un nuovo centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, alternativo al sovranismo nazionalista che la deriva salviniana e della destra meloniana vorrebbe far prevalere in Italia. Una prospettiva drammatica se vincesse, di sicuro isolamento dell’Italia e di rottura con i nostri tradizionali partner europei e atlantici. E’ tempo che, come faremo noi sin dai prossimi incontri degli organismi nazionali DC, anche il M5S, con la nuova leadership di Conte conquistata sul campo, cominci a muoversi in questa direzione.