La risposta di Trump e del suo governo alla pandemia è oggetto, sui media e sui social media, di storture e di falsità intenzionali, sia in America sia in Europa. L’unica parte di quella risposta che viene menzionata con consenso, cioè il mega piano di soccorso finanziario per 2,2 trilioni di dollari, è invece l’aspetto più discutibile, come dirò più avanti. Negli USA l’emergenza sanitaria investe un paese condizionato dalla guerra a Trump condotta dai media più diffusi, dalla grande finanza, da molti centri di potere, dal mondo dello spettacolo e universitario, oltre che dal partito Democratico e da alcuni senatori e ambienti Repubblicani. Una guerra che ha pesanti effetti sulla società. Come il governo cinese per le menzogne nel riferire dell’epidemia, così gli attuali leader Democratici sono responsabili per le vergognose e, perché no, diaboliche manipolazioni dei fatti. Trump ha fatto il possibile per difendere la nazione dal virus di Wuhan. Mentre nel gennaio 2020 i Democratici bloccano il Congresso con la truffa del falso impeachment e la Commissione Intelligence della Camera, da loro controllata, si occupa di reati mai avvenuti anziché delle notizie false in arrivo dalla Cina, Trump prende le decisioni che sono di sua competenza: bloccare i voli da e per la Cina, richiedere la quarantena e controlli medici per chi è stato in Cina. Mentre i Democratici montano un colpo di stato per destituire Trump, e mentre i loro leader (come l’impresentabile ma non per questo meno spregevole Pelosi) propagano accuse infondate, o mentre il sindaco Democratico di New York  raccomanda ai cittadini: “Non smettete di andare a Chinatown”, Trump parla dell’epidemia nel discorso sullo Stato dell’Unione (4 febbraio) e ascolta medici e scienziati. I quali, fino a quando a fine febbraio l’epidemia devasta alcune province nel Nord Italia, non lanciano allarmi. Il 26 gennaio, dopo i primi casi di infezione a Seattle, il dottor Fauci, l’immunologo a capo della squadra di medici incaricata dalla Casa Bianca, dice in TV: “Il rischio è molto basso. Non è qualcosa di cui il pubblico americano deve preoccuparsi o essere spaventato”. Il 27 gennaio, quando Trump blocca i voli con la Cina (blocco divenuto completo il 31 gennaio), il WHO, World Health Organization – le cui gravi connivenze con il governo cinese dovranno avere conseguenze – dichiara che la misura “non è necessaria” (benché sappia che circa 15 mila passeggeri, per lo più turisti e studenti, arrivano ogni giorno negli USA dalla Cina) e che la definizione di virus di Wuhan “stigmatizza” troppo la Cina. Il 9 febbraio, quando Trump nomina una task force anti-epidemia con a capo il vice presidente Pence, o ancora il 28 febbraio, quando Trump blocca i voli con l’Europa e chiude l’ingresso negli USA a chi è stato in Iran, i governatori e i sindaci Democratici di grandi città e stati non prendono le misure di loro competenza.

 

Nei confronti della Cina, la denuncia del Congresso diviene esplicita solo a metà marzo. Fino a quel momento, solo pochi senatori del GOP (Tom Cotton, Rand Paul, Rubio) contestano le menzogne cinesi. La difficoltà di un fronte comune verso il virus di Wuhan o verso il governo di Pechino viene dal fatto che il partito Democratico è divenuto il partito del male: il nemico del paese chiamato Stati Uniti d’America. Le voci responsabili sono messe a tacere, tutti ubbidiscono. I loro leader considerano la pandemia un’opportunità per distruggere l’economia americana e in questo modo sconfiggere Trump nelle elezioni. La chiusura delle attività lavorative non li preoccupa. Vogliono usare le leggi di soccorso finanziario per attuare le loro priorità, per lo più dannose o anche fraudolente (come il rendere legali le frodi elettorali). Se Trump chiede di non bloccare alcune industrie o di rimetterle in attività, nei media i ciarlatani lo attaccano in modo indegno. I Democratici vogliono affondare l’economia per abbattere Trump. Vogliono trasformare gli USA in una ex grande potenza, debitrice verso la Cina. Ma la pandemia non è un motivo per distruggere gli USA, né il loro sistema economico. Al contrario, a un’articolata denuncia delle origini della pandemia in Cina, siano esse state casuali o intenzionali, e dei danni mortali venuti dalla disinformazione del governo di Pechino, si deve unire da parte del governo Trump una revisione del ruolo del WHO. Gli USA finanziano tale agenzia ONU con più di 300 milioni di dollari l’anno (400 milioni nel 2019 secondo la Reuters). Alcune delle attività dei medici del WHO saranno certamente utili. Ma l’adesione dei vertici dell’agenzia alle false notizie fornite dal governo cinese non è accettabile. A che cosa serve una dirigenza ONU per la sanità, se non può prevenire e nemmeno avvisare nel caso di una pandemia, che il WHO dichiarò tale soltanto l’11 marzo?

 

Insieme alla prevalente malafede, non posso escludere che nelle accuse a Trump vi sia, in America come in Italia, una considerevole ignoranza. Negli USA i governatori Democratici, che sono al vertice degli stati più popolosi, cercano con l’aiuto dei media di evitare il biasimo, ma nel sistema federale essi, e non il governo centrale, sono responsabili del numero degli ospedali, o del numero di letti negli ospedali, dei macchinari medici e del loro acquisto, del personale e dei materiali sanitari. Nel sistema del federalismo americano, 36 stati (tra cui tutti i più grandi e tutti quelli oggi in emergenza sanitaria) hanno competenza esclusiva sulla sanità. Se non vi sono sufficienti ospedali o ventilatori o altro, chi ha fallito è il governatore, e con lui la Camera dello stato e il sindaco della città: non la FEMA, l’agenzia federale per la gestione delle emergenze, né la CDC, l’agenzia federale per il controllo e la prevenzione delle malattie, né il ministro della Sanità (a differenza del sistema italiano), né tantomeno il presidente. Ora, è chiaro che costituire risorse per una pandemia non è facile. Ma la decisione di non predisporre ventilatori l’hanno presa i governatori di New York, della California, dell’Illinois, del New Jersey, del Michigan; non il governo federale. Predisporre i tamponi per la pandemia spettava ai governi locali, non alla Casa Bianca. Ciò che ha tolto evidenza alle carenze di città e stati è il fatto che, al più tardi dal 6 aprile, ventilatori e ospedali sono già disponibili in eccesso, e non per merito o iniziativa di sindaci o governatori Democratici, bensì del governo Trump e della mobilitazione delle industrie private. A partire dal 10 aprile migliaia di ventilatori vengono inviati dagli USA in decine di paesi, in Africa, in Sud America, e anche in Italia.

 

Le leggi in materia di competenze nella sanità (Certification of Needs Laws) furono approvate tra il 1964 e il 1972, e lo stato di New York fu il primo ad adottarle. Come per le attività di polizia ed altro, il responsabile è il governatore dello stato. Il presidente non ha il potere e non ha l’autorità costituzionale di sostituirsi ai governatori, come non ha il potere di chiudere le attività dello stato (di nuovo, il sistema è opposto a quello italiano). Quelle diramate da Trump nel momento peggiore della pandemia erano direttive, non ordini. L’ordine di chiudere le attività e la vita sociale è venuto dai governatori. Il presidente può applicare il Defense Production Act (legge approvata nel 1950, durante la guerra di Corea) per imporre azioni ad entità statali e private. Nel momento dell’emergenza Trump lo ha fatto solo in casi di necessità, per esempio per imporre la produzione di ventilatori (General Motors) o per fermare la vendita all’estero di materiali necessari in patria (3M). Più spesso Trump ha lavorato di concerto con le società private, come con i governatori. I media americani hanno cercato di costruire una conflittualità tra la Casa Bianca e la città di New York, trovando pronta ripetizione sui media italiani. Riguardo a New York, la realtà è che sindaco e governatore non avevano preparato la sanità alla prova. Oltre ai tagli di posti letto negli ospedali di New York, Breitbart News ha documentato l’esistenza di un rapporto del “New York Health Department” del 2015, in cui si affermava che allo stato mancavano 15 mila ventilatori e un numero maggiore di posti letto. In quell’anno, nel 2015, il governatore Cuomo (al vertice di uno stato che applica le più alte tasse in America, insieme alla California) decise di indirizzare i fondi disponibili verso la sanità per gli immigrati e verso i pannelli solari. I ventilatori non furono comprati. Nel momento critico della pandemia New York si salva per i 4 mila ventilatori (e altri 12 mila una settimana dopo) inviati dal governo Trump, per i 4 ospedali da campo e altre strutture temporanee costruiti dall’Esercito, e per la grande nave ospedale della Navy arrivata nel porto di New York. Gli occasionali lamenti di Cuomo servono ai media per dare incongruo risalto al governatore e per costruirne una candidatura presidenziale. Come accade a Los Angeles o a Detroit o nel New Jersey, l’epidemia si diffonde nelle città con maggiore densità di popolazione e di immigrazione. A New York fino a metà marzo il pericolo è sottovalutato in nome di un’ideologia che identifica la denuncia del virus cinese con il “razzismo”. Mentre gli aiuti federali arrivano copiosi a New York, a inizio aprile Trump scrive in un tweet: “New York si è mossa con ritardo. Il suo governo deve smettere di lamentarsi e gestire bene le forniture in arrivo”. 

 

Anche i governatori di altri stati (Illinois, Michigan) hanno cercato di imputare al governo federale le loro carenze, poi si sono corretti quando hanno ricevuto cospicue quantità di forniture mediche, inclusi ospedali da campo (fino al 10 aprile l’Esercito ne ha costruiti 23 in tutto il paese). Significativo è il caso della California, uno stato dove la guerra a Trump è politica ufficiale dei Democratici al potere, ma dove il governatore Newsom ha riconosciuto a Trump la prontezza e l’ampiezza senza condizioni degli aiuti inviati. Quanto ai dieci mila o più ventilatori della riserva strategica federale intorno a cui nel momento critico della pandemia si aggirano gli sciacalli nei media, essi sono scorte di emergenza per i militari, per la Border Patrol, per l’FBI. Come per i nuovi ventilatori che vengono costruiti, essi non possono andare tutti alla città di New York, come chiedono i balordi o turpi reporter che Trump si ostina ad ammettere alle sue conferenze stampa. Il paese è grande, ancora in aprile l’insorgenza della pandemia si sposta da uno stato all’altro. Come Trump dice, “Alcuni stati hanno necessità insaziabili. Ma ricordate, noi siamo un backup per gli stati”, cioè una riserva e un supporto. In ogni caso, al più tardi come ho detto dal 6 aprile, nessuno stato e nessuna città ha carenza di ventilatori, e la produzione è in eccesso. Quanto alle quotidiane conferenze stampa di Trump, condivido il parere di chi le trova troppo lunghe e troppo allargate a media ostili. Ma dobbiamo anche leggere con rispetto quanto Trump scrive in un tweet: “Per me è il solo modo di contestare le notizie false e presentare il mio punto di vista”. 

 

Le esigenze di distribuire le risorse nel vasto paese riguardano anche i farmaci contro il virus di Wuhan, in particolare la idrossiclorochina, per la quale alla produzione nazionale non si aggiunto, per alcune settimane, l’import previsto, avendo l’India, che ne è il maggiore produttore, bloccato le esportazioni. In affronto al globalismo, in futuro vi è l’esigenza di non dipendere più, né per i farmaci né per alcuna merce importante, dall’estero, e in particolare dalla Cina, dove per decenni troppe industrie, anche americane, hanno spostato la produzione. Per sconfiggere la pandemia negli USA, le lacune vengono colmate perché Trump mobilita il settore privato. I farmaci o i vaccini o i materiali sanitari, è il settore privato a costruirli, non il governo federale. Anche a grandi industrie automobilistiche come Ford e General Motors si è chiesto di costruire ventilatori e altri macchinari medici; e le accuse di non costruirli abbastanza rapidamente appaiono infondate, perché è noto che la conversione di una catena di montaggio, per produrre uno strumento complesso come un ventilatore per la respirazione, è tutt’altro che immediata. La propaganda velenosa dei dirigenti Democratici e dei loro servi nei media è un ostacolo a quello che dovrebbe essere un impegno unitario. Dice Trump: “Smettete finché abbiamo sconfitto il virus. Poi riprendete pure”. Vediamo media di grande diffusione (USA Today, Washington Post, New York Times, oltre alla CNN e alla NBC) accusare Trump di “vendere false speranze”. Si tratta di un’accusa indecente. Quando Trump ha parlato il 20 marzo di riaprire molte attività a Pasqua, o quando in aprile parla di volerlo fare a fine mese, egli esprime un auspicio. Il presidente non ha l’autorità di sollevare da un ordine di consegne domiciliari emesso da un governatore, salvo fare ricorso a poteri di guerra; non ha l’autorità di riaprire una fabbrica; però può comunicare alla nazione una speranza di ritorno alla vita normale. Come non può imporre la legge marziale (non accadde nemmeno durante la Guerra Civile), il presidente può chiedere ma non imporre di mettere fine alla chiusura delle attività, applicata in 41 stati su 50; però può interpretare ciò che la parte migliore della nazione vuole. 

 

Negli USA osservatori credibili (Daniel Horowitz, Mark Levin, Sean Hannity e altri) hanno espresso preoccupazioni legittime, e che non ignorano il parere di medici e virologi delle università di Stanford e di Yale, riguardo ai danni che il lockdown provoca all’economia e alla società. Vi sono inviti a mettere in contesto le cifre delle vittime per la pandemia, in relazione per esempio al numero di americani che muoiono in un anno per tumore (600 mila) o per suicidio (45 mila) o per droga (60 mila). Vi sono moniti sul fatto che, se l’economia viene distrutta, non vi sarà nemmeno una sanità efficiente. Davanti alla violenza della pandemia, di certo terribile nel dettaglio, i media coltivano la catastrofe. Ma Trump ha ragione a mandare messaggi di speranza perché, se l’America rimane chiusa troppo a lungo, l’esito previsto è quello di una Grande Depressione, come negli anni Trenta del Novecento ma con una società molto meno coesa; e gli effetti sono imprevedibili. A una grande economia, al lavoro silenzioso di chi combatte il virus, alla volontà dell’America profonda, Trump fa appello per respingere la pestilenza arrivata dalla Cina, senza distruggere l’America. Mentre il partito del male complotta per sfruttare ai suoi scopi la pandemia, Trump deve cercare un equilibrio tra il parere di medici ed epidemiologi sulla pericolosità del virus, e l’esigenza di rimettere in moto l’economia. Per farlo, non basta la corretta informazione. Servono gli istinti giusti. L’America è fortunata ad avere Trump alla Casa Bianca. 

 

Ad istinti giusti non si adegua la legge di aiuti finanziari per 2,2 trilioni di dollari (cioè delle dimensioni del PIL italiano). Non è una legge di Trump. L’unico intervento che Trump ha proposto, in realtà tra i più giustificati, cioè la cancellazione delle tasse sui salari, nella legge non c’è. È una legge scritta dai Repubblicani in Senato, e poi gonfiata a dismisura dalle richieste avanzate dai Democratici per approvarla. Condivido l’opinione delle pochissime voci che affermano che metà dell’enorme stanziamento non ha relazione con le conseguenze della pandemia. Circa un trilione di dollari è un ingombrante regalo di ridistribuzione del reddito. Tutti concordiamo sull’impegno per le imprese e per i piccoli produttori o artigiani, a cui il governo ha imposto di chiudere le attività; sui prestiti per 350 miliardi di dollari, senza rimborso se usati per riprendere l’attività, alle imprese che hanno fino a 500 dipendenti (anzi, qui la legge non eccede, tanto che, due settimane dopo, un nuovo stanziamento è richiesto); sui 130 miliardi (il 6% del totale) per gli ospedali. Non evitabili, poi, sono i prestiti (50 miliardi) alle compagnie aeree, anche se l’acquisizione azionaria da parte del governo nel loro capitale è discutibile. Ma non si può concordare su quello che da decenni gli economisti definiscono “gettare denaro dagli elicotteri” (che ebbe origine come teoria monetarista, in antitesi al taglio delle tasse, e poi diventò una pratica assistenziale). Non si può concordare sulla malsana bipartisanship dell’elargire denaro anche a coloro che non hanno un danno diretto dalla pandemia (per esempio “gli studenti”, oppure “gli inquilini”). Certamente in Italia invidiamo la rapidità con cui il governo federale ha consegnato il denaro, già da fine marzo. Ma la misura è esorbitante. Oltre 500 miliardi, un quarto del totale, vanno direttamente ai cittadini: a ogni persona con un reddito annuo fino a 75 mila dollari arriva un assegno di 1200 dollari; a una coppia con reddito fino a 150 mila, un assegno di 2400 dollari; per ogni figlio (la parte più condivisibile) 500 dollari. Inoltre assegni di importo minore arrivano ai percettori di reddito fino a 99 mila dollari. Ciò significa che il 90% degli americani riceveranno assegni dal governo, anche chi non ha perso reddito né lavoro: per esempio, gli impiegati federali non perdono il salario, anche se sono a casa. Da notizie che mi arrivano dai college, anche gli studenti ricevono l’assegno, purché presentino una dichiarazione dei redditi, anche con reddito zero, per il 2019. Questa elefantiaca distribuzione di danaro non rimette l’America al lavoro. Per di più, se vi è assenza di freni, è facile truffare il sistema.

 

Nella mega legge da 2,2 trilioni di dollari vi è poi la parte che riguarda i disoccupati, il cui numero si avvicina ai 20 milioni a metà aprile. Ai sussidi già in essere per i disoccupati vengono aggiunti 600 dollari a settimana, stanziando 250 miliardi di dollari. La copertura è estesa ai gig workers, cioè i precari, come i tassisti di Uber. Ciò che appare eccessivo è il sussidio per 4 mesi (che sono tanti: la versione iniziale della legge parlava di 2 mesi) con un importo che, grazie ai 600 dollari aggiuntivi, è superiore al 100% del salario (ciò avviene per salari fino a 1100 dollari a settimana). Questo è un incentivo a non lavorare o, per i datori di lavoro di società grandi e piccole, a licenziare per 4 mesi. Non può esservi un vantaggio di salario nel non lavorare. Come ha detto Mark Levin, un contenimento dei danni all’80 o 90%, per chi viene congedato senza sua colpa, sarebbe stato più funzionale. E ancora: totale dissenso avvertiamo per i 150 miliardi di dollari stanziati per finanziare i governi locali. Ciò significa un favore non dovuto a città e stati mal governati. Significa finanziare le città-santuario: consegnare risorse a politici che impediscono all’agenzia federale ICE l’espulsione dal paese degli immigrati colpevoli di reati. Per i governatori Democratici i fondi stanziati a seguito della pandemia sono un’opportunità insperata. Essi chiedono, come Cuomo ha dichiarato espressamente, che il governo federale intervenga per rimediare ai loro bilanci in deficit cronico, spesso fallimentari, e di cui essi non si prendono la responsabilità. Da Rush Limbaugh a Laura Ingraham, gli osservatori credibili chiedono a Trump e al GOP di opporsi al salvataggio finanziario degli stati, perché la voragine è senza fondo. E anche perché l’America profonda non deve pagare, ancor più di quanto accada da sempre, per le cattive politiche di Chicago, o di Los Angeles, o di New York, o di Newark, o di altre città. 

 

La mega e bipartisan legge da 2,2 trilioni di dollari è uno smoderato allargamento del welfare state. Una volta che così tanta spesa sociale è divenuta legge, diviene quasi impossibile tornare indietro. Se qualcuno proverà a farlo, i Democratici grideranno al massacro sociale. Se poi si considera che in aggiunta alla mega legge vi sono i prestiti al settore privato concessi da banche locali su finanziamento della FED (già operativi a inizio aprile, con ammirevole rapidità), e se si considera che Steve Mnuchin e Larry Kudlow hanno parlato a questo scopo di potenziali 4 trilioni di dollari elargiti (cioè stampati) dalla FED, lo sconcerto cresce. Gli USA hanno già per l’anno corrente un bilancio di 4,7 trilioni di dollari. Gli USA hanno già un debito federale di 23 trilioni di dollari. Hanno un debito fuori bilancio, per i programmi di welfare, valutato in 200 trilioni di dollari. Il complesso delle cifre appare difficile da sostenere, anche con l’auspicato rilancio economico. Dunque nuova perplessità si avverte davanti al piano per le infrastrutture (inseguito negli USA da circa 15 anni) per altri due trilioni di dollari, che Trump vorrebbe approvato. Negli USA rinnovare o costruire strade ponti e aeroporti è più che necessario. Ma farlo in un momento in cui le correzioni ai fallimenti del globalismo sono per l’America l’urgenza maggiore, e in cui l’opposizione approfitta di ogni dollaro stanziato per mandare avanti programmi che la parte migliore della nazione non condivide, può essere un passo troppo lungo. La crisi di disoccupazione conseguente alle chiusure per la pandemia fa battere più veloce il polso agli ammiratori di Franklin Roosevelt, che del distorcere la reale esperienza degli anni Trenta del Novecento (quando le politiche del governo Roosevelt aggravarono, per anni, la recessione del 1929) hanno fatto un dogma e oggi sognano un nuovo New Deal, in una realtà economica del tutto diversa. Da consulenti, o dal ministro Mnuchin, arrivano a Trump voci secondo cui la scelta di imporre il controllo dello stato sull’economia non è evitabile. Le attuali leggi di spesa sono un passo profondo verso un’economia pianificata e costruita sul debito. L’errore può essere grave. Pur tra le urgenze del momento, Trump deve ascoltare altre voci: mettere da parte la tolleranza verso il debito e sapere che in pericolo non è soltanto il pensiero conservatore riformista, ma anche la natura del governo costituzionale americano. 

 

Le insidie sono esasperate dalle manovre dei leader Democratici, che vedono la pandemia come un’occasione da utilizzare grazie alla loro nefasta maggioranza alla Camera. Essi hanno cercato di inserire nella mega legge l’estensione a tutto il paese delle fraudolente pratiche elettorali che essi applicano in stati da loro governati e che hanno consentito, per esempio, di guadagnare 7 seggi in California nelle midterm del 2018: mancata identificazione fotografica di chi vota, raccolta dei voti casa per casa, allargamento del voto per posta, concessione del voto agli immigrati illegali. Essi legano l’approvazione delle leggi di soccorso nel post-pandemia a richieste che con la pandemia nulla hanno a che fare: prorogare la presenza nel paese degli immigrati illegali, alzare il salario minimo, finanziare le industrie dell’energia solare, cancellare il debito degli studenti fino a 30 mila dollari, smantellare l’agenzia ICE. Per approvare la mega legge alla Camera, essi hanno ottenuto di rinviare di un anno, a fine 2021, l’identificazione obbligatoria per chi viene iscritto sui registri elettorali dall’anagrafe che rilascia le patenti di guida. Come per la Cina, che ha trasformato con le menzogne quella che poteva essere una crisi sanitaria locale in una pandemia globale, anche per le false azioni dei leader Democratici ci dev’essere una resa dei conti. Nel migliore dei mondi, i Democratici dovrebbero essere puniti dagli elettori; per farlo in modo decisivo, dovrebbero scendere sotto il 30% in Congresso. Ma non viviamo nel migliore dei mondi. 

 

I Democratici vogliono usare l’emergenza sanitaria per controllare l’intera economia. Per questo i governatori Democratici sembrano gradire la chiusura delle attività nei loro stati. A metà marzo il governatore della Virginia (Northam) ha disposto un lockdown fino al 10 giugno: scadenza insensata, almeno se decisa con tre mesi di anticipo. Sulla chiusura dello stato di New York il governatore Cuomo sta costruendo una fortuna politica, con il vistoso sostegno dei media locali e nazionali, che non parlano delle sue pessime decisioni, come quella di proibire per settimane a farmacisti e medici l’uso della idrossiclorochina per curare i contagiati da virus di Wuhan, o quella di assecondare il sindaco di New York (De Blasio, definito “il peggior sindaco della storia recente”) quando questi, con scelta turpe oltre che assurda, mette in libertà i detenuti affetti dal virus di Wuhan. Come ha detto Rudy Giuliani – un sindaco di cui New York sente ancora la mancanza –, mentre ai cittadini si impone di stare in casa, individui contagiati escono di prigione, in una New York dove da alcuni anni crimini piccoli e grandi sono in forte aumento. Con l’allargare le misure di chiusura incondizionata delle attività, lo scopo dei governatori Democratici è di affondare l’economia per darne la colpa a Trump prima delle elezioni. Si veda l’allegria con cui i loro media annunciano i numeri della disoccupazione. O si veda come tutte le limitazioni alla libertà vengano dai governi locali, mentre tutte le responsabilità di rimediare alle virtuose decisioni di chiusura delle attività sembrino essere a carico del governo federale. Se a sindaci e governatori Democratici è riconosciuta l’autorità di fare la multa a chi fa jogging, dev’essere anche chiesto di rimediare al blocco dell’economia. Invece il recupero essi lo chiedono, con garrula e mediatica insistenza, a Trump.

 

Per i Democratici la pandemia è uno strumento. Ad aiutarli vi sono gli stanziamenti come la mega legge da 2,2 trilioni di dollari, o vi sono i modelli errati degli epidemiologi, cioè i modelli su cui i dottori Fauci e Birx, che guidano la task force medica della Casa Bianca, hanno fondato le loro previsioni fuori  misura. In tre settimane i dottori Fauci e Birx sono passati dall’ipotesi, per gli USA, di un milione di morti, a una previsione di “100-240 mila” morti, a quella a metà aprile di 60 mila. Hanno attribuito le disparità di previsione alla mitigation, cioè alle misure di isolamento sociale. Il che è poco credibile, perché della mitigation si tenne conto fin dall’inizio; è più probabile che le proiezioni fossero sbagliate, come infondate erano le richieste di governatori Democratici che a metà aprile hanno gli ospedali da campo vuoti o già smontati, e decine di migliaia di ventilatori inutilizzati. I media hanno usato le previsioni errate per attirare e spaventare il pubblico. In ogni caso la pandemia non giustifica il distruggere l’economia. Come osservatori credibili hanno detto, se l’economia va a fondo non ci saranno ospedali funzionanti o vaccini o terapie. Dunque la spesa in deficit deve avere limiti. Anche gli economisti Democratici sanno che stampare denaro per trilioni di dollari senza aumento della produzione, o senza alcuna produzione, significa inflazione. Una volta avviata, l’inflazione è molto difficile da contenere. L’inflazione distrugge il valore della moneta, dei salari, delle pensioni; conduce alla rovina economica e alla povertà. La liquidità gettata nel sistema, il denaro senza produzione di beni e servizi, non hanno mai funzionato. Anche la bomba dell’inflazione è un pericolo pandemico. 

 

In una realtà in cui negli USA sono previsti 30 milioni di disoccupati, cioè una crisi peggiore della Grande Depressione degli anni Trenta del Novecento, non ho il minimo dubbio sul fatto che sia necessario un blocco temporaneo e totale dell’immigrazione legale. Invece il primo aprile il direttore della Homeland Security, Chad Wolf, è sul punto di aggiungere 35 mila nuovi visti per lavori stagionali (i visti H-2B) ai 66 mila l’anno previsti, e solo all’ultimo minuto l’aumento viene messo “on hold”, in sospeso, ma non cancellato. Il primo aprile la Homeland invia anche notifiche ai vincitori della “lotteria” per i visti H-1B, cioè lavoratori “specializzati”, per lo più indiani e altri asiatici, portatori secondo la Chamber of Commerce di conoscenze che la forza lavoro americana non ha. Il che è una frode documentata da inchieste di noti giornalisti (Lou Dobbs, Tucker Carlson). Ciò di cui tali immigrati sono portatori è un costo del lavoro inferiore per le industrie della Silicon Valley (Google, Apple, IBM, Microsoft) e altre. Le inchieste hanno indicato che, in società come AT&T, ai tecnici americani viene chiesto di istruire gli stranieri; in seguito, talvolta, gli americani vengono licenziati. Nel momento della più grave crisi di occupazione da 90 anni, l’interesse delle società per un ridotto costo del lavoro deve cedere davanti all’esigenza di proteggere la nazione. Trump deve fermare l’immigrazione legale. La legge (Immigration Act, 1965) gli dà tale potere. Tutte le agenzie del governo devono applicare il blocco.  

 

Dal suo isolamento a Roma a seguito delle misure anti-pandemia, Newt Gingrich – mai abbastanza rimpianto come speaker della Camera – ha invitato a evitare la disinformazione riguardo a quanto accade in America, dicendo: “Il pubblico capirà quanto importante sia stato che presidente fosse Donald Trump in questo momento della storia americana”. Possiamo non concordare con Trump riguardo al firmare una legge che distribuisce 1200 dollari a ogni cittadino anche se la pandemia non lo ha danneggiato o anche se ha conservato lo stipendio; e certamente non concordiamo con Trump per i ritardi nel correggere gli eccessi dell’immigrazione. Ma non possiamo che ammirare la sincerità e l’energia dell’uomo, e la pragmatica prontezza delle sue decisioni nel fronteggiare la pandemia. Che i media più diffusi e i loro indemoniati gregari nei social media cerchino di propagare il contrario, è indice del loro degrado. Dopo aver preso a fine gennaio, tra l’ostilità degli oppositori e forzando il parere dei suoi stessi consiglieri virologi, decisioni che hanno ritardato l’arrivo del virus di Wuhan, da quando a metà marzo la pandemia si è diffusa in America Trump ogni giorno prende la situazione per la gola: ascolta i virologi, ma non nasconde le sue opinioni; concede senza esitare ingenti aiuti a sindaci e governatori che per tre anni gli hanno fatto la guerra; ogni giorno tiene conferenze stampa di un’ora o più, e risponde anche alle domande provocatorie e ostili (riuscite a pensare a Obama, che teneva poche conferenze stampa anche nelle situazioni favorevoli, rispondere ogni giorno a domande ostili?); presenta tutte le informazioni che possiede e lascia parlare gli esperti; non teme una totale trasparenza; sembra trovare le energie per tutto. In fondo Trump per decenni è stato un imprenditore edile; ha imparato il mestiere di presidente facendolo. Gli americani dovrebbero essere orgogliosi del loro presidente. Egli ha dovuto rinunciare ai suoi rallies. Ma il suo messaggio di leader arriva ugualmente, perché è chiaro che egli cerca di comprendere a fondo quanto accade e prendere le giuste decisioni. Nella seconda metà di aprile 2020, quando deve chiedere di riaprire le attività nel paese e concordare la riapertura con i governatori Democratici, egli si trova di fronte a una decisione difficile e necessaria.