C’è un’area geografica del mondo poverissima e purtuttavia strategica ai fini del tema migratorio e della sua gestione: è il Sahel, la fascia subsahariana che attraversa l’Africa dalle sponde atlantiche a quelle del Mar Rosso, dalla Mauritania al Sudan attraverso nazioni quali Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad. Poverissima con riguardo alle condizioni di vita delle sue popolazioni, spesso miserevoli. Ma ricca nel suo sottosuolo: oro, petrolio, uranio, terre rare.
L’eredità coloniale e il fallimento francese
Negli ultimi 20 anni il jihadismo radicale ha preso in ostaggio molte zone di questa enorme regione, provocando danni esistenziali terribili alle popolazioni locali attraverso azioni criminali su base etnica e/o religiosa, costrizioni forzate sui diritti umani, rapimenti e torture, saccheggi e violenze d’ogni genere. Un jihadismo diviso fra gruppi vicini a al-Qaeda e altri invece più prossimi all’Isis, in concorrenza fra loro. E per questo ancor più determinati a controllare il territorio, a fronte di strutture statuali deboli, spesso incapaci di intervenire (e non solo impossibilitate).
Durante la scorsa decade la Francia, dominus coloniale della zona, si impegnò a sradicare il terrorismo islamista (la famosa Operazione Barkhane), ma i risultati furono deludenti. Non solo. Quell’azione contribuì ad accrescere ulteriormente l’insofferenza di larga parte della popolazione nei confronti dei vecchi colonizzatori, ancora presenti in diversi ambiti dell’economia locale.
La mossa di Mosca e la nascita dell’AES
È in questo contesto che la Russia ha investito, attraverso le azioni militari della BrigataWagner (ridenominata Afrika Corps e posta sotto la diretta dipendenza dal Ministero della Difesadopo l’eliminazione del suo ideatore Yevgeny Prigozhin), e mediante una sottile e abile campagna mediatica tesa a mobilitare la popolazione intorno a un neo-nazionalismo accesamente antieuropeo (e in particolare antifrancese). E così ha favorito, se non proprio sostenuto, i colpi di stato che in successione si sono registrati in Mali, Niger, Burkina Faso, con un impegno economico assai relativo ma molto redditizio.
I tre paesi hanno così dapprima costituito un’alleanza fra di loro (l’Alleanza degli Stati delSahel – AES) e in seguito, agli inizi del 2025, hanno lasciato la Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale, dividendo politicamente la regione e avvicinandosi a Mosca con intese commerciali sul fronte dell’acquisto di armamenti, firmate nella capitale russa lo scorso giugno.
Irrisolto il problema della crescita jihadista
Un legame destinato a rafforzarsi, secondo le dichiarazioni rese dal Ministro della Difesa russo Andrej Belousov dopo l’incontro tenuto a metà agosto con gli omologhi dell’AES:“disponibili a fornire un supporto completo per garantire la stabilità della regione”. Ciò significa che Mosca acquista ulteriore rilevanza e influenza nel Sahel, notoriamente zona di transito per i flussi migratori che muovono verso l’Europa.
Ma non è tutto. Acquista importanza presso governi militari che intendono spendere molto in armamenti e che possono pagare attingendo alle ricchezze minerarie del proprio sottosuolo, anche mediante accordi bilaterali per il loro sfruttamento.
Resta un problema, però. Al momento irrisolto ed anzi aggravato: la crescita jihadista, che neppure i nuovi governi hanno saputo bloccare. E che può determinare ulteriori gravi danni, oltre quelli causati sin qui.