La sanità in mano alle regioni è un problema

In queste ore si fa più chiaro il nesso tra disordine e frammentazione che caratterizza la gestione dell’emergenza coronavirus.

In queste ore si fa più chiaro il nesso tra disordine e frammentazione che caratterizza la gestione dell’emergenza coronavirus.

Non si può ignorare il problema. L’ex ministro della Salute, Sirchia, ha parlato di moltiplicazione dei messaggi che genera disorientamento nella pubblica opinione. 

“Ricordo che la salute pubblica – dice Sirchia in una intervista a formiche.net – non interviene solo per il coronavirus, ma ad esempio anche in caso di minaccia atomica. In queste condizioni di vera emergenza siamo costretti a negoziare con le Regioni”. Far finta di non capire è dunque la cosa peggiore.

Spiace constatare che mentre si discute di come prevenire il contagio, sapendo che non esistono barriere fisiche o strumentazioni tecniche in grado d’impedirlo, i rappresentanti delle Regioni sembrano preoccupati di difendere l’orticello del loro potere. Il contagio si combatte in Lombardia o in Veneto, con misure su scala locale? È ben evidente che le esigenze di tutela della salute pubblica richiedano in questo caso provvedimenti ad ampio raggio, sotto la piena responsabilità dello Stato.

Questa condizione di fragilità, in gran parte dovuta alla disarticolazione del quadro delle competenze, deve trovare una risposta adeguata. Alle Regioni va tolta la gestione, anche con le necessarie modifiche al Titolo V della Costituzione, prevedendo una funzione nel campo della tutela della salute pubblica che veda in esse un presidio di sana cooperazione con lo Stato centrale (non di competizione).

Superata l’emergenza, questo confronto politico dovrà essere sviluppato con forza per arrivare a una diversa configurazione del nostro ordinamento sanitario.