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martedì, Febbraio 11, 2025
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La sentenza di Palermo non equivale a una vittoria politica del salvinismo

L’assoluzione di Matteo Salvini nel processo di primo grado è stata accolta da molti come una vittoria, ma a mio avviso si tratta di una sentenza, sull’importanza del rispetto per i più deboli.

L’assoluzione di Matteo Salvini nel processo di primo grado è stata accolta da molti come una vittoria, ma a mio avviso si tratta di una sentenza che non è esente da considerazioni politiche più generali. L’ex ministro dell’Interno ha spesso adottato atteggiamenti che possono essere letti come una sfida verso i giudici, sostenendo posizioni che sembrano aderire all’idea che il potere esecutivo debba essere svincolato dai controlli e dai bilanciamenti propri delle istituzioni democratiche. Questo approccio, alla lunga, rappresenta una messa in discussione degli equilibri costituzionali.

Non si tratta di un atteggiamento isolato, ma di un contesto politico più ampio in cui si discute di riforme come il premierato forte, che mira a concentrare il potere decisionale in una sola figura, sotto lo slogan “Non disturbare il guidatore”. È lecito allira interrogarsi se la sentenza sia stata dettata anche da ragioni di opportunità politica: destabilizzare un partito – la Lega –  che sostiene l’attuale governo, senza tuttavia conoscere quali possano essere le alternative praticabili, avrebbe potuto generare conseguenze difficili da gestire.

È comunque importante ricordare i punti centrali delle accuse mosse a Salvini: decisioni prese unilateralmente e non in collegialità con il governo, sequestro di persone, trattamento disumano riservato a migranti già in condizioni critiche. Era ed è, a tutti gli effetti, un quadro di “allarme civile” destinato a rimanere inciso nella memoria collettiva.  Da tutto questo il salvinismo ne esce comunque indebolito perché l’ideologia di supporto, sbandierata con grande enfasi, rammenta i pericoli ad essa soggiacenti.

Anche se l’assoluzione – “perché il fatto non sussiste”- consente a Salvini di gridare vittoria, rimane cruciale la necessaria riflessione, al di là della sentenza, sull’importanza del rispetto per i più deboli. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 ci ricorda l’obbligo di agire nel rispetto della dignità e dell’uguaglianza della “famiglia umana”. Più che dividerci sul giudizio di un tribunale, avremmo necessità di attenerci alla lezione che promana dalla vicenda nel suo complesso, per riuscire a preservare non solo la fiducia nel nostro ordinamento giuridico, ma anche i valori fondamentali della nostra società.