Pierluigi Castagnetti, nel sul recente colloquio con Gianni Cuperlo sul Domani (29 dicembre 2021), ha recuperato la questione della “società dei due terzi”. Chi ne teorizzò l’avvento, con tutto il carico di suggestioni e insidie, fu Peter Glotz (scomparso nel 2005).
In una intervista a Giancarlo Bosetti, pubblicata sull’Unità dell’8 luglio 1989, egli ne definiva la cornice ideale e politica, individuando i nodi problematici relativamente allo sviluppo di una nuova strategia delle forze progressiste, in primis del Partito socialdemocratico tedesco. Dell’intervista proponiamo di seguito ampi stralci, estrapolando i passaggi più significativi dalle risposte da lui fornite.
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Redazione
[…] parlare di fine del secolo socialdemocratico, come ha fatto Ralph Dahrendorf, è un errore. […] Noi dobbiamo mantenere e difendere l’immagine, l’idea dello Stato sociale europeo, ma dobbiamo rafforzare il concetto della sicurezza comune e quello della modernizzazione ecologica delle nostre società, insieme a quella del femminismo, per ricordare alcune delle idee-chiavi del socialismo democratico. Non sono pessimista.
[…] Noi abbiamo cambiamenti strutturali nelle nostre società, abbiamo popoli più istruiti, più gente occupata nei servizi, meno occupati nell’Industria. Così abbiamo cambiamenti nella classe operaia e nella sua coscienza. Penso che mai nella storia è stata cosi differenziata come è oggi. L’interesse concreto dei lavoratori, dei colletti blu dell’industria pesante e quelli del lavoratori dei servizi informatici sono molto diversi, ma sia gli uni che gli altri appartengono, in un cero senso, alla classe dei lavoratori. Questa è la nuova situazione, dobbiamo lottare per diversi «milieu», non si può parlare di due classi, nel senso marxiano, la classe operaia degli sfruttati da una parte e quella degli sfruttatori dall’altra. Abbiamo schemi diversi, diversi «milieu».
La struttura della società cambia e personalmente penso che il grande pericolo di queste società è quello di diventare quelle che io ho definito «società dei due terzi» e che dobbiamo raggiungere un nuovo tipo di legame di solidarietà tra le classi economiche dirigenti, i lavoratori qualificati, i lavoratori con posto di lavoro sicuro e quel terzo della società fatto di redditi bassi, di pensionati al minimo, disoccupati, giovani che non trovano lavoro, gente schiacciata sul fondo della classifica nella nostra società. Questo mi porta allo slogan, se vogliamo, alla speranza che dobbiamo riuscire a essere «forti tra i forti», con i lavoratori qualificati, con i tecnici e ricercatori, con quei settori della società che sono opinion leaders. Questo è il cambiamento di strategia che occorre al sindacato e ai partiti dei lavoratori.
[…] Io penso che per costruire questi ponti tra la debolezza e una parte della forza economica non è sufficiente parlare di politiche economiche e di interesse economico. Se ci occupiamo solo di interessi personali diretti della intellettualità tecnica, della classe manageriale, di tutti coloro di cui abbiamo bisogno perché sono determinanti per l’opinione pubblica, allora non possiamo costruire quei ponti perché i loro interessi sono molto diversi da quelli dei disoccupati. dei poveri, dei pensionati a basso livello ecc. Allora dobbiamo guardare ad altri temi, a cominciare da quelli della modernizzazione ecologica delle società industriali e del Sud del mondo. Dirigenti d’azienda e disoccupati sono ugualmente soggetti al pericolo di una catastrofe ambientale. Ugualmente cresce la sensibilità sul tema delle relazioni tra Primo a Terzo mondo, per il fatto che questo può mettere in pericolo la libertà personale, la situazione di ciascuno.
Sempre di più si percepisce che è impossibile una situazione in cui miliardi di uomini muoiono di fame nel Sud, che 5 miliardi di uomini vivono in condizioni terribili e 1 miliardo di uomini nello splendore delle città del Nord, con le loro ricche strutture sociali. Questi temi, ecologia, terzo mondo, problemi della pace – la sicurezza comune, il pericolo di un disastro nucleare – sono interessi comuni non di una sola classe, non direttamente personali. Ma sono interessi comuni che affratellano. Penso che la strategìa delta sinistra si deve riferire anche a questi elementi, non solo ai problemi economici. Dobbiamo fare programmi che consistono in diversi punti e mettere in rilievo quelli che sono comuni a gente di diversa condizione economica.
[…] Non pensò che possiamo affidarci alla speranza che la gente sia buona e spontaneamente si preoccupi degli altri. Non mi affido a un simile moralismo. Credo davvero che in un mondo cambiato dalle comunicazioni le persone intelligenti vengono accorgendosi che non è più sostenibile questo contrasto tra Sud e Nord. […] Io non sottoscrivo la certezza che domani avremo un sistema migliore, che domani la sinistra ce la farà a risolvere la questione.
[…] Liberalismo e socialdemocrazia sono formule molto generali. Abbiamo già parlato di quello che bisogna intendere per liberalismo, lo sono sicuro che Dahrendorf ha ragione quando dice che le moderne socialdemocrazie devono includere certi elementi di liberalismo, per esempio la flessibilità del tempo di lavoro. Questo, si può dire, è un tipo di approccio liberale, ma non è possibile avere successo nel futuro senza accettare criteri dì questo genere. Personalmente penso che il partito socialdemocratico e il socialismo democratico in generale devono cambiare in certi campi; bisogna riformare le scelte dì programma, dobbiamo discutere, anche voi in Italia nel Partito comunista italiano, questa ricollocazione. Nelle nuove piattaforme elementi liberali sono necessari, ma per- sonalmente credo che, sì, i principi fondamentali della socialdemocrazìa, molti, moltissimi dei suoi principi, saranno necessari nel futuro. Dobbiamo saper cambiare alcune posizioni e mantenerne altre. Un movimento socialdemocratico capace di essere flessibile in questo modo, potrà avere successo […].
Per leggere l’intervista completa
https://archivio.unita.news/assets/main/1989/07/08/page_004.pdf