Per gentile concessione del direttore Andrea Monda, pubblichiamo il colloquio ospitato dall’Osservatore Romano sul nuovo corso della Rivista della Pontificia Università Gregoriana.
Con il fascicolo 1/2021 la rivista «Prospettiva Persona», cambia abito, si presenta con una veste grafica diversa ed entra nel circuito delle riviste accademiche su piattaforma digitale. È questa l’occasione per un momento di riflessione su alcune questioni legate al personalismo che ha visto diversi studiosi coinvolti tra cui il direttore della rivista, Flavio Felice.
In che modo la rivista ha interpretato finora o intende declinare il personalismo?
La rivista «Prospettiva Persona» nasce nel 1992 da un’intuizione della professoressa Giulia Paola Di Nicola e del professore Attilio Danese, da sempre impegnati nell’attività accademica e nella divulgazione scientifica nel campo del personalismo. Danese è stato il primo direttore e Paul Ricoeur ha ricoperto la carica di presidente del comitato scientifico dalla fondazione della rivista fino al 2005, quando ci ha lasciati; dopo Ricoeur, hanno presieduto il comitato scientifico i professori Giorgio Campanini e Robert Royal e dal prossimo numero a presiederlo sarà il professor Dario Antiseri. Fino ad oggi la rivista ha interpretato il ricco filone del personalismo, cercando di raccogliere i migliori contributi, a livello nazionale e internazionale, provenienti da studiosi di diverse discipline che gravitano intorno alle scienze sociali e che fissano le loro ricerche sul perno della persona. Sebbene da questo numero, il primo del 2021, la rivista si presenti con una veste grafica differente e abbia dismesso il formato cartaceo, essendo presente su piattaforma digitale, abbiamo voluto conservare intatto lo spirito originario, tentando di svilupparlo anche nella direzione degli studi politologici, economici e giuridici; non che non fossero presenti in passato, ma si è pensato di dare loro un maggiore spazio. Alla base vi è il cosiddetto personalismo metodologico che, rispettando il personalismo originario, auspica l’incontro fecondo con tutte le prospettive capaci di mettere al centro dell’analisi sociale l’homo agens e la sua irriducibilità a qualsiasi aggregato. Un tale personalismo metodologico è declinato nella comprensione e nella descrizione della qualità inclusiva della democrazia, del mercato e dell’amministrazione, con una particolare cura alla genesi dello sviluppo delle istituzioni sociali, aventi come causa efficiente l’agire della persona.
Quale futuro ha il personalismo come teoria politica?
Lo stesso che ci auspichiamo possa avere in tutte le scienze umane. Con particolare riferimento alla teoria politica, mi consenta di recuperare la nozione di personalismo metodologico, appena accennata nella risposta alla domanda precedente. Il punto di partenza, secondo tale prospettiva è l’idea di società come «proiezione multipla, simultanea e continuativa degli individui», stando alla definizione del 1935 di Luigi Sturzo. L’uso del termine proiezione è particolarmente interessante, dal momento che indica un elemento di continuità e di relazione tra gli individui e le forme sociali, al punto da affermare che le suddette, in quanto proiezione della libera, responsabile e creativa azione umana, presentano le stesse caratteristiche dei soggetti che, con le loro azioni, contribuiscono alla loro costituzione. In particolare, il fatto che la proiezione sia multipla ci dice che è incompatibile con qualsiasi riduzione monistica. Il bene comune, ovvero il bene di tutti e di ciascuno, non si risolve nel monopolio di alcuna singola istituzione, ma è il risultato del concerto di una pluralità di istituzioni che contribuiscono (quota parte) a rendere accessibili le condizioni che consentono a ciascuna persona di perseguire il bene proprio e di tutti. Il fatto che sia simultanea ci dice che nessuno — persona o istituzione — è nelle condizioni di agire in forza di una conoscenza perfetta e, per questa ragione, nessuna persona o istituzione può vantare un’autorità che non le derivi dalle strette competenze che ne delimitano il mandato; viene meno qualsiasi assurda pretesa di universalismo politico e sociale. Infine, il fatto che sia continuativa ci dice che non esiste uno stadio perfetto, raggiunto il quale coloro che guidano le istituzioni possano riposare sonni tranquilli e perpetuare in maniera definitiva e arbitraria la propria autorità: la spinta riformatrice è insita nel principio antiperfettista che delinea la nozione di persona umana. Il tema della società come proiezione dell’azione individuale ci dice anche che, come non si danno esseri umani che non abbiano, accanto ai diritti, una serie di doveri, lo stesso si dovrebbe dire di tutte le forme sociali, compreso lo stato.
Quale contributo la rivista può dare al dibattito interno al mondo cattolico sulle trasformazioni sociali, sul ruolo dello Stato e del mercato?
Per rispondere a questa sua domanda prendo come spunto i contenuti presenti nell’ultimo fascicolo (1/2021), dedicato al tema: «L’ordine politico, economico e culturale. La persona, tra sfide e minacce», declinato in chiave filosofica, politologica, sociologica e giuridica. Al centro di tale tema abbiamo posto alcune istanze classiche della cosiddetta economia sociale di mercato. Si tratta di una prospettiva teorica che si fonda su tre principi fondamentali: 1) La dimensione poliarchica della società civile e della conseguente nozione di bene comune; 2) Il principio di sussidiarietà come principio di ordine nelle dimensioni orizzontale e verticale; 3) Il rifiuto della discrezionalità politica nell’organizzazione del mercato. È una tradizione europea: tedesca e italiana, che germoglia dal solco del pensiero sociale cristiano, almeno di quella parte di tale tradizione che è stata in grado di opporsi ai totalitarismi del nazismo, del fascismo e del comunismo, mentre molti altri cattolici si attardarono nell’impossibile tentativo di riesumare il corporativismo. Questi ultimi assunsero una simile posizione sulla base di un’idea del civile che coincide con la dimensione politica e che finisce per essere omogeneizzata da questa e dal soggetto che, per definizione, ne rivendica il ruolo di vertice sintetico: lo Stato, ciò comporterebbe la morte del civile.