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giovedì, 16 Ottobre, 2025
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La temperanza, virtù rivoluzionaria

Il viaggio nella storia di Gennaro Cardillo ci restituisce la sua sorprendente attualità. Conservare la tranquillità dell’animo e riservare agli altri il rispetto che si richiederebbe per sé. Un libro che riaccende la filosofia della mitezza

«L’unico modo per non far conoscere agli altri i propri limiti è di non oltrepassarli mai.»

(Giacomo Leopardi)

Il saggio sulla temperanza di Gennaro Cardillo, edito da Il Mulino, non ha la pretesa della monografia tematica: piuttosto offre al lettore spunti di riflessione attinti dai classici del pensiero, da Platone, Sofocle, Euripide ai giorni nostri. Le chiamerei “scintille di luce” queste citazioni, perché illuminano la storia dell’umanità con intuizioni che restano – nelle parole pronunciate e nelle metafore che evocano – e che ci servono oggi in modo speciale, per ricomporre una dialettica e una filosofia della mitezza in un mondo che sembra “uscire dai cardini”.

Un’agile ed utile riflessione che esprime la profonda cultura umanistica dell’autore, che si rivolge a tutti: perché ritrovare una giusta misura nel dire e nel fare è un compito che ci riguarda intimamente.

L’eredità di una virtù dimenticata

La rivisitazione etimologica e di senso di questa virtù dimenticata che il prof. Cardillo ha realizzato suggerisce al lettore di trovarne una propria. È questo il pregio fondamentale di un libro: leggere, metabolizzare, riflettere per cercare una propria Weltanschauung, una concezione del mondo che orienti la nostra vita.

Facendo mia questa “intuita intuizione” mi piace riportare deduzioni e argomentazioni personali, confidando di restare fedele all’ispirazione di Cardillo in modo temperante, senza uscire dal sentiero da lui tracciato e per applicare la sua bussola alle alterne vicende dell’esistenza.

La misura come convitato di pietra

Fare uno, due, tre passi indietro: mi pare sia un esercizio mentale che non ci è più consueto. È proprio il senso della misura il vero convitato di pietra al banchetto delle relazioni sociali del nostro tempo.

I toni aggressivi prevalgono sulla comunicazione moderata e interlocutoria, così come le esternazioni prevaricatrici hanno il sopravvento sulla capacità di controllo delle turbolenze dell’anima.

Sembra questa la percezione più avvertita nel sentire comune, come se fosse diventato un atteggiamento tendenzialmente prevalente nel modo di porsi e di cui ci accorgiamo soprattutto nel momento in cui lo subiamo, al punto di incuterci ansie e timori.

Ragione, passioni e proporzione

Non è solo questione di oggi, quanto piuttosto modalità espressiva ricorrente nella natura umana, quasi elemento costitutivo e ontologico della sua complessità strutturale, fatta di pulsioni e di razionalità, di sentimenti e stati d’animo contrastanti.

Non per niente il suo opposto, come ci ricorda San Tommaso, è considerato una virtù.

Parliamo di quella temperanza che Cicerone definiva come dominio fermo e moderato della ragione, controllo delle passioni e giusta misura di ogni cosa.

Educazione, misura e rispetto di sé

È un atteggiamento che possiamo ereditare da una buona educazione o che maturiamo attraverso scelte e convincimenti interiori? Sicuramente sono vere entrambe le cose.

Resta da chiedersi se questa capacità di esercitare il controllo e la moderazione ma anche di possedere il senso della misura del sé e della proporzione degli esiti delle nostre azioni e dei nostri sentimenti in rapporto alle circostanze della vita sia utile, possibile e attuale.

Non dobbiamo eludere e non possiamo nasconderci infatti il valore positivo e appagante delle emozioni e quanto sia ricca e sorprendente la gamma dei sentimenti. Una vita priva di emozioni è una vita senza senso, piatta, insignificante.

Ma un’esistenza dominata esclusivamente dalle emozioni e dagli eccessi ci allontanerebbe da quella condizione di equilibrio, di pacatezza e di razionalità che ci permette di accreditarci con una stabile e rassicurante identità positiva nell’universo dei rapporti interpersonali.

Controllare in modo appropriato le pulsioni, conservando la tranquillità dell’animo e riservando agli altri il rispetto che si richiederebbe per sé: questo potrebbe essere un proposito onesto e sensato.

Come anche cercare l’armonia spirituale e l’equilibrio interiore, convivere con i sentimenti e le emozioni “stemperando” – appunto – quel mix di tensioni, toni sopra le righe, alterazioni, istinti smodati, o viceversa di modalità eccessive nella ricerca dell’autocontrollo e della sobrietà.

La misura come arte di vivere

Il biglietto da visita di una persona temperante consiste nella discrezione come immagine di sé e modo di porsi, icona di uno stile di vita personale centrato sulla moderazione e sul senso della misura.

Chi perde di vista questo valore aggiunto dimostra di non possedere quella capacità di regia, ora forte e risoluta ora mite e discreta, che governa il dentro e il fuori di sé, il pathos e l’immagine, l’essere e l’apparire.

La virtù della temperanza consiste dunque nell’abilità di modulare e dosare chiaro-scuri, alti e bassi, timbri, toni e registri di quel flusso di emozioni, sentimenti, comportamenti, stati d’animo con cui incessantemente ci rapportiamo con il mondo delle persone e con le loro intrinseche relazioni, cercando dentro e fuori di noi la giusta misura di una sostenibile armonia.