Nel corso della Assemblea dei Popolari del Piemonte, convocata dall’amico Alessandro Risso lo scorso 11 luglio, Guido Bodrato ci ha dato una grande lezione di politica.

In poche parole, rafforzate dalla sua straordinaria storia personale, ha definito lucidamente il profilo di un manifesto politico. Del “nostro” manifesto politico.
Il tema, ha detto, non è la nostalgia, ma il futuro di una Democrazia sempre più assediata dal rischio di una insidiosa deriva autoritaria.

È attorno a questa urgenza, impellente nella sostanza dei problemi del Paese, che si può riscoprire la “missione” di quanti hanno l’ardire di definirsi “popolari”.

Questo forte richiamo di Guido Bodrato è di per sé sufficiente per farci coraggio e per superare timidezze, incertezze, reciproche gelosie tra le diverse iniziative che in questi mesi si sono messe in campo.

Del resto, che cosa è il “Popolarismo”?

Non certo una ideologia. E men che meno la rievocazione delle formule che la storia ha via via archiviato nel suo divenire (lasciamo in pace la gloriosa ed irripetibile stagione della DC).
È piuttosto un modo di essere della Comunità e di concepire la Democrazia.

Il Popolarismo è cultura della “Comunità” organicamente preordinata e dotata di un “primato” sullo Stato e sul Mercato, dei quali pure rispetta le essenziali funzioni.

È antagonista alla “mitologia dell’individuo” confinato in quella sua illusoria sovrana solitudine che pare crescere oggi con i radicali mutamenti antropologici, sociali e tecnologici, non culturalmente ed eticamente presidiati.

Il Popolarismo è concezione “sociale” (finalizzata cioè al superamento di tutte le disuguaglianze) e “comunitaria” (animata cioè dal respiro di una solidale e responsabile appartenenza) della Democrazia.
Il rischio “autoritario” (ben visibile nella delegittimazione di Parlamenti, Partiti, corpi intermedi non corporativi e di tutte le istanze civili e sociali non funzionali alla logica del leader di turno, che “parla” direttamente al popolo) altro non è che la ricaduta politico-istituzionale di una profonda crisi del senso di Comunità, della sua narrazione condivisa, della sua rappresentanza.

La gravità dell’inchiesta aperta sui rapporti tra la Lega di Salvini e la Russia non è tanto nella pur seria questione del tentato o realizzato finanziamento illegale, quanto nella adesione militante e nella contiguità ideale del più forte partito di governo italiano a quella concezione di democrazia praticata in quel Paese e proclamata nelle recenti interviste di Putin.

Di fronte alla evidente perdita di carisma della democrazia liberale, il Popolarismo così inteso è l’unica Terza Via possibile tra la deriva delle “democrature” e l’improbabile tentativo di difesa passiva delle pure “regole del sistema”.

Per questo serve una nuova proposta politica “popolare”.
È una grande sfida per i “popolari” (parlo ovviamente di quelli veri), che non possono pensare di continuare ancora a lungo con belle ma isolate esperienze: devono invece mettere a fattor comune tutti i loro sforzi, con generosità, lungimiranza, leadership nuove e credibili.

Rete Bianca, Insieme, Demos ed altre importanti realtà, anche locali, devono a mio parere decidere subito un percorso di convergenza, finalizzato alla costruzione di un unico Soggetto, una unica “Comunità Politica Popolare”.

Non uso volutamente il termine “partito” perché in questa fase occorre inventare nuovi profili organizzativi e nuove “forme partito”.

Costruito il Soggetto Politico Popolare, si tratterà di valutare (sul piano politico-elettorale) le modalità di incontro con altre culture compatibili e vicine, come ad esempio quella liberal-democratica o quella ambientalista (modello tedesco, semmai…) e con altre esperienze che si muovono nella società italiana fuori dagli schemi dei vecchi recinti.

È però anche una sfida per tutto il campo alternativo alla destra populista ed in particolare per il Partito Democratico – del quale non sfugge certo il ruolo importante – e non eludibile – ma che non può continuare a immaginare il futuro del Paese – di “questo” Paese – nei termini non più attuali, se mai lo sono stati, di una pretesa esclusiva vocazione maggioritaria, benché reinterpretata con la finzione dei satelliti o delle “gambe” germinate modello Start Up.
Serve una vera cultura della coalizionale, (la vera cifra di una idea di politica aperta, cooperativa e rivolta al bene comune), che può esistere però solamente se esistono soggetti autonomi, ontologicamente concorrenti, riconoscibili per identità, rappresentanza sociale e proposta programmatica.
Il paradigma è cambiato.

L’urgenza del rischio “autoritario” per la nostra democrazia lo rende evidente e ne denota la cogenza civile prima che politica. Le risposte, dunque, non possono che essere all’altezza.