Le cronache liguri di questi giorni, così poco edificanti (usiamo un dolce eufemismo) dovrebbero indurre la classe dirigente a riflettere seriamente sui rischi connessi all’accentramento del potere.
Senza voler emettere sentenze, che sarebbero del tutto improprie, si comprende però che a volte è proprio il carattere monocratico della leadership politica che induce a sopravvalutare se stessi e a sottovalutare gli altri. O meglio, a sottovalutare tutte quelle cautele, prudenze, circospezioni che si addicono a una politica capace di non farsi inebriare dal gusto che a volte ricava dalla propria investitura.
Il Parlamento sta discutendo su due grandi riforme – il premierato e l’autonomia differenziata – che sembrano fatte apposta per andare ancora più oltre verso quelle forme di accentramento. Si vuole affidare al primo ministro poteri an-
cora più estesi a tutto danno di quel che resta della sovranità parlamentare. E si vogliono sotterrare le regioni a un vincolo di solidarietà nazionale in nome di una sorta di nobile egoismo localistico.
Tutte cose, s’intende, che non vogliono certo aprire la strada a fenomeni corruttivi, se di questi si tratta. Ma che pure evocano l’idea di un potere sottratto a molte di quelle regole di controllo e di collegialità che hanno sempre evitato guasti maggiori. Staremo a vedere gli sviluppi dell’inchiesta, è ovvio. Ma la politica non deve emettere sentenze. Deve ragionare sulle condizioni del suo operato. E magari considerare che tutte quelle regole che ne imbrigliano la discrezionalità, a volte ne possono invece tutelare meglio l’onorabilità.
Fonte: La Voce del Popolo – 16 maggio 2024.
[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della Diocesi di Brescia]