La battaglia per l’egemonia culturale, combattuta dalla destra con uno zelo degno di miglior causa, è finita come è finita. E cioè con una tale sconfitta che non merita quasi che vi si infierisca oltre.
C’è però in questa vicenda qualcosa che non riguarda solo gli infelici proclami egemonici del governo in carica. Il fatto è che si pretende quasi sempre, da parte di chi ha il bastone di comando, di dettare legge in quei territori culturali, artistici, spettacolari dove dovrebbe invece regnare la più ampia libertà degli spiriti.
È un vizio che riguarda un po’ tutti. La destra meloniana che vorrebbe nientepopodimeno riscrivere la storia italiana. La sinistra d’antan che si arrogava a suo tempo il monopolio dell’egemonia letteraria e cinematografica. I democristiani che (non da soli) spadroneggiavano nella televisione pubblica. Per non dire di Berlusconi e del suo assai cospicuo conflitto di interessi.
Nessuno di noi, insomma, è completamente innocente. Anche se le colpe non sono tutte uguali, e quelle degli ultimi arrivati primeggiano in questa classifica. Resta il fatto che poi il paese, giustamente, si fa le sue opinioni e si lascia abbindolare solo fino a un certo punto. Per non dire di tutti quei pensatori che non si fanno dettare i pensieri dai padroni del vapore politico.
Così forse sarebbe il caso di chiudere una volta per tutte l’antica contesa per l’egemonia politico culturale, affidando alla politica il compito di cercare voti nei modi più dignitosi e restituendo alla cultura la libertà di non farsi irreggimentare neppure dai propri cari.
Fonte: La Voce del Popolo – 12 settembre 2024
[Testo qui riproposto integralmente per gentile concessione dell’autore e del direttore del settimanale della Diocesi di Brescia]