L’Africa in cima all’agenda di politica internazionale. Il punto di don Giulio Albanese (L’Osservatore Romano).

L’Africa è storicamente un continente contendibile per le sue straordinarie risorse umane e naturali. Fino a che punto i governi africani e la stessa Ua saranno in grado di far valere il principio che il proprio continente, nel suo complesso, deve essere protagonista del proprio sviluppo?

Lo spazio di manovra dei governi africani è ancora fortemente condizionato non solo dagli effetti globali della pandemia covid-19, ma anche da una crescita economica più lenta del previsto e dal pesante fardello dell’indebitamento. Ciò nonostante l’agenda politica africana continua ad essere densa di appuntamenti di alto profilo.

Ad esempio, lo scorso ottobre si è svolto nella capitale rwandese Kigali il 2° meeting ministeriale Unione africana (Ua) – Unione europea (Ue), una riunione propedeutica in vista del 6° Summit Ua-Ue, previsto per il prossimo mese di febbraio a Bruxelles.

Durante l’incontro di Kigali, si è discusso su vari temi che hanno riguardato in particolare l’impegno per contrastare la pandemia, gli investimenti nelle transizioni digitali e green, la pace, la sicurezza, la governance globale e la mobilità umana. A questo punto gli occhi sono tutti puntati sul vertice di Bruxelles che dovrebbe rappresentare l’occasione propizia per meglio definire il futuro del partenariato tra i due continenti, dando risposte convincenti alle nuove sfide poste dall’emergenza pandemica. Vi è poi il tema della mobilità umana dalle coste africane, tanto caro a Papa Francesco, che merita risposte coraggiose in una stagione della storia umana profondamente segnata dalle diseguaglianze.

Nel frattempo, dal 28 al 30 novembre, si è svolto, nella capitale senegalese, Dakar, il Forum on China – Africa Cooperation (Focac), un evento triennale ormai alla sua ottava edizione. Si è trattato di un appuntamento particolarmente rilevante per il continente africano. Definito come un high-level forum — un mix tra un incontro a livello ministeriale e un vertice — l’iniziativa è servita a dare nuovo vigore alle relazioni sino-africane. A questo proposito sono state conseguite importanti intese sul programma sanitario e di salute pubblica — soprattutto per quanto concerne il contrasto al covid-19 — così come sul programma di riduzione della povertà, di promozione degli investimenti esteri e di contrasto al cambiamento climatico.

Il governo di Pechino ha deciso di sostenere il progetto della Great Green Wall — la Grande Muraglia Verde, da realizzare nel territorio del Sahel, di cui peraltro abbiamo già parlato ampiamente in questa rubrica — lanciata nel 2007 dalla Ua per contrastare il riscaldamento globale. È bene rammentare che il partenariato sino-africano, fin dagli esordi, ha dato un impulso notevole allo sviluppo infrastrutturale in Africa, dando nuova linfa alla Belt and Road Initiative (Bri), la nuova via della seta, ufficialmente inaugurata nel 2013, il cui valore stimato — per volume di scambi avvenuti dopo la sua istituzione — ha toccato i 4 miliardi di dollari Usa. Naturalmente il cammino è ancora lungo perché ciò che è ancora carente in Africa sono proprio le hard infrastructure — come porti e strade — cui la Ua e il governo di Pechino stanno lavorando congiuntamente con l’intento di rendere operativa l’African Continental Free Trade Agreement (Afcfta). Si tratta di un’iniziativa panafricana, inaugurata ufficialmente lo scorso gennaio, volta a creare un’area di libero scambio interna al continente, con lo scopo di supportare l’industrializzazione nel continente africano.

Da rilevare che la Turchia, in quanto potenza emergente, non intende stare alla finestra a guardare e sta rafforzando la propria politica in Africa con molteplici iniziative. Lo scorso ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha intrapreso un viaggio che lo ha portato in Angola, Nigeria e Togo. Poco dopo si è svolto ad Istanbul il Turkey-Africa Business Council Meeting, al quale hanno partecipato oltre trenta ministri e diversi rappresentanti di organizzazioni regionali africane. Mentre proprio oggi si apre a Istanbul il 3° summit Turchia-Africa, sul tema «Partenariato rafforzato per lo sviluppo comune e la prosperità», a conferma che Ankara vuole restare ben posizionata nel continente africano, avviando una nuova fase nelle relazioni della Turchia con la Ua e i Paesi africani.

Non è un caso se il numero delle ambasciate turche in Africa è passato da 12 del 2002 alle attuali 43, con una di prossima apertura in Guinea-Bissau. Il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, intervenendo in una conferenza stampa il 30 settembre scorso, ha affermato che l’approccio della Turchia all’Africa si basa sul principio delle «soluzioni africane ai problemi dell’Africa». Rilevando che la Turchia è stata un partner strategico della Ua dal 2008, Çavuşoğlu ha precisato che il suo governo «mira a sostenere gli sforzi di sviluppo dell’Africa e ad aumentare le relazioni commerciali, culturali e umane».

Ma attenzione, anche gli Stati Uniti hanno deciso di rilanciare la propria presenza in Africa. Nel quadro di un rinnovato interesse di Washington per il continente africano, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, il mese scorso, ha compiuto una missione diplomatica di ampio respiro in alcuni Paesi africani, la prima nel continente dalla sua entrata in carica. Una visita, quella del capo della diplomazia statunitense, che lo ha visto fare tappa prima in Kenya, poi in Nigeria e a seguire in Senegal, con l’intento — più o meno esplicito — di riaffermare una presenza statunitense nel continente che, soprattutto negli ultimi anni, sembrava essersi affievolita, lasciando spazio ad altri attori internazionali. L’obiettivo di fondo degli Stati Uniti è quindi quello di elevare il proprio profilo come protagonista di primo piano nelle iniziative regionali e internazionali per ripristinare la pace e promuovere la democrazia nella macroregione africana. Di particolare rilevo è stato l’annuncio, formulato nella capitale nigeriana Abuja, della volontà, da parte del presidente Usa Joe Biden, di organizzare il prossimo anno un vertice con i leader africani per dimostrare il rinnovato impegno di Washington nel continente. «Il presidente Biden intende ospitare il vertice dei leader Usa-Africa per guidare il tipo di diplomazia e di impegno di alto livello che possono trasformare le relazioni e rendere possibile una cooperazione efficace», ha affermato Blinken nel suo discorso pronunciato nella sede della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas). Il segretario di Stato Usa si è anche fatto interprete del disagio che viene avvertito nei circoli della diplomazia africana in riferimento alla parcellizzazione degli interessi stranieri in Africa. Ha infatti riconosciuto che molti governi africani «temono che in un mondo di rivalità più acute tra le maggiori potenze saranno costretti a scegliere».

A questo proposito ha detto con chiarezza: «Non vogliamo farvi scegliere. Vogliamo darvi delle scelte», ricordando che gli Stati Uniti hanno finora fornito più di 50 milioni di dosi di vaccino contro il covid-19 in Africa «senza alcun vincolo» e che altre forniture sono in arrivo, oltre ad aver erogato oltre 1,9 miliardi di dollari in assistenza per finanziare aiuti alimentari di emergenza e altri aiuti umanitari in tempo di pandemia.

Da rilevare, comunque, che anche la Russia intende riaffermare la propria presenza in Africa. In vista del secondo vertice Russia-Africa, previsto per ottobre-novembre 2022 ad Addis Abeba, in Etiopia, è stato istituito un consiglio di coordinamento sotto l’egida del Segretariato del Forum del partenariato Russia-Africa (Rapf). Anche il governo di Mosca è molto interessato a sostenere l’Afcfta, facendo anche leva su due documenti firmati durante il precedente vertice di Sochi, vale a dire il Memorandum d’intesa tra il governo della Federazione russa e l’Unione africana sui principi fondamentali delle relazioni e della cooperazione e il Memorandum d’intesa tra la Commissione economica eurasiatica e l’Unione africana sulla cooperazione economica. Naturalmente l’interesse nei confronti dell’Africa riguarda anche altri attori come le monarchie del Golfo, il Pakistan, l’India, l’Iran, Israele e tanti altri. Una domanda però, a questo punto, sorge spontanea: l’Africa è storicamente un continente contendibile per le sue straordinarie risorse umane e naturali. Fino a che punto i governi africani e la stessa Ua saranno in grado di far valere il principio che il proprio continente, nel suo complesso, deve essere protagonista del proprio sviluppo? Il quesito è centrale perché bisognerà verificare in che termini per gli stati africani le relazioni con il mondo esterno saranno effettivamente un fattore qualificante nel processo di transizione verso una maggiore stabilità e una migliore governance.

Per dirla con le parole di Papa Francesco, serve un approccio più responsabile, all’insegna del «multilateralismo come espressione di un rinnovato senso di corresponsabilità globale», non escludendo, come spesso accade, i poveri e i più vulnerabili.