Roma, 21 mar. (askanews) – “Attualmente per poter intercettare un sospettato sono richiesti dalla legge dei parametri molto stringenti. È infatti previsto che l’intercettazione possa essere richiesta solo se vi sono gravi indizi di reato, e se questa è indispensabile al fine della prosecuzione delle indagini. Il tema è che ora un decreto di intercettazione dura 15 giorni, con la possibilità di prorogarlo senza limiti nel caso permangano le fattispecie elencate. La nuova riforma della giustizia però prevede che venga posto un tetto massimo di 45 giorni, con un limite di due proroghe. Altrimenti vi devono essere già prove concrete e un’espressa motivazione. Credo che in questo modo si veicola ancora una volta il messaggio di sfiducia che c’è nei confronti dei magistrati: come se l’unico loro obiettivo fosse quello di spiare le persone senza motivo”. Lo ha detto ai microfoni di Radio Cusano Rocco Gustavo Maruotti, segretario nazionale dell’Anm intervenuto a ‘Battitori Liberi’, condotto da Gianluca Fabi e Savino Balzano, in merito alla riforma della giustizia; in particolare sul tema delle intercettazioni.
Maruotti ha poi aggiunto: “Il limite di 45 giorni per l’intercettazione è un problema enorme. Chi ha esperienza giudiziaria sa benissimo che non sempre i primi giorni sono sufficienti a raccogliere le prove necessarie, se chiediamo una proroga noi magistrati infatti specifichiamo il perché. Il problema della riforma- spiega Maruotti- è che pone un tetto massimo uguale per tutti, salvo per i reati di mafia e terrorismo: è un provvedimento folle”.
Maruotti si sofferma poi sul tema economico delle intercettazioni che “è giudicato eccessivamente costoso, come detto dal ministro Nordio. Ma in realtà come dice Gratteri il costo è irrisorio, soprattutto se paragonato all’obbiettivo prefissato. Io non sono in grado di dire alla famiglia di una vittima di reato grave che mi sono dovuto fermare perché il costo era eccessivo: non possiamo mettere sullo stesso piano la giustizia e il profilo economico”.
Maruotti ha poi spiegato: “Ai magistrati viene imputato che spesso le accuse non portano a una sentenza di condanna. Viene contestato l’uso delle misure cautelari per un determinato processo, che poi non hanno lo stesso numero di riscontri nelle condanne. Questo però è determinato dal fatto che sentenza e imputazione hanno ragioni diverse. Per applicare una misura cautelare serve un grave indizio di colpevolezza, per una condanna invece è necessario venga provata la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Sono stati fatti tanti passi avanti nel corso degli anni, ma non si può pretendere che ogni accusa porti una sentenza di condanna: questa è anche la prova dell’autonomia dei magistrati, che possono agire secondo ciò che ritengono più giusto”.