L’astensionismo si combatte creando luoghi e occasioni di confronto

Giorgio Gaber cantava che la libertà è partecipazione. In anticipo di qualche decennio aveva capito la natura della crisi politica che sarebbe esplosa all’inizio degli anni ’90, per poi aggravarsi.

È doveroso preoccuparsi ed indagare sul fenomeno dell’astensionismo elettorale. Francesco Provinciali ha pubblicato una analisi interessante e condivisibile in tutto, specialmente laddove parla dell’idea sostanzialmente proprietaria che alcuni leader si sono fatti del loro partito. C’è un punto però che può essere ulteriormente indagato per capire il fenomeno ed ha due facce: i media e la formazione dell’opinione pubblica e la partecipazione attiva dei cittadini alla vita associativa dei partiti.

Giorgio Gaber cantava che la libertà è partecipazione. In anticipo di qualche decennio aveva capito la natura della crisi politica che poi sarebbe esplosa all’inizio degli anni ’90 e che si è andata aggravando fino ad oggi. E in questa linea i due aspetti – opinione pubblica e partecipazione – possono essere considerati insieme. Si vuole far credere e molti lo credono che seguire passivamente la politica sui media equivalga alla partecipazione attiva nella vita dei partiti e nella formazione del loro indirizzo politico. Evidentemente assistere alle tante discussioni tra i politici e gli opinionisti sulle reti televisive, non esaurisce lo spazio della formazione e della condivisione di una idea politica. Tanto più poi quando questi dibattiti sottintendono la riduzione della complessità socio-politica ad uno schema semplificatorio bipolare all’interno del quale basta dire sì oppure no, come se altro non esistesse. Insomma l’applicazione autoritaria del principio aristotelico “tertium non datur” che ha valore nel campo della logica, ma non certo in quello della politica.

Nelle ultime elezioni europee abbiamo assistito agli esiziali esiti ottenuti dal mancato accordo tra Calenda e Renzi che in termini elettorali ha significato 1.654.812 voti buttati al vento, mentre con meno voti il partito che candidava la Salis ha ottenuto, godendo di un forte effetto mediatico, ben sei europarlamentari. E il problema è proprio dipendere dai media se è vero – come è stato detto – che nelle urne si raccoglie quello che è apparso sui media. Una questione complicatissima alla quale non c’è una risposta univoca e semplice.

Nella corsa dei leader ad apparire i partiti hanno finito per trascurare il loro radicamento sul territorio e con la base tanto che perfino le recenti elezioni regionali in Sardegna e Basilicata sono state vissute come drammatici eventi nazionali. Di questo passo accadrà che anche la più modesta prova elettorale finirà per divenire un caso nazionale umiliando il residuale tessuto organizzativo dei partiti sul territorio il cui governo sarà anch’esso espropriato alle competenze locali (buone o mediocri poco importa) e attribuito secondo lo schema semplificatorio del potere mediatico.

Anche queste ultime elezioni ci hanno insegnato l’insindacabilità del potere da remoto dei media (pubblici o privati), i quali pur in polemica tra loro, a danno delle tante particolarità del’Italia degli oltre ottomila comuni, vogliono imporre un bipolarismo che non è nella nostra tradizione politica e neppure nella mentalità popolare. Destra e Sinistra sono presentate come i due territori possibili ed esclusivi delle scelte politiche restando entrambe per rendita di posizione nel cerchio delle loro contrapposte (ed ideologiche) visioni. La differenza che poi determina il risultato la faranno i media con i loro intrecci opachi di potere coperti dalla presenza dei soliti noti scelti non si sa come, con il compito di persuasori per l’una o l’altra sponda, con il privilegio di parlare a una platea di milioni di isolati che spesso si convincono “per principio” anche contro i propri interessi. È necessario rompere questo isolamento. È il primo passo per una riconquista della sovranità politica del popolo. Occorre perciò creare luoghi e occasioni di confronto e di dialogo dove le persone possano liberamente esporre le proprie ragioni ed ascoltare quelle altrui. Confronti nei quali l’opinione politica si plasma senza filtri dal basso creando così maggiore consapevolezza e, soprattutto, l’emersione di figure rappresentative e come tali riconosciute. Occorrono fantasia e coraggio, ma non si vedono altre vie d’uscita. Fantasia nell’individuazione dei luoghi e delle occasioni; coraggio nell’affrontare i problemi e i nodi da sciogliere.

Vedersi magari anche in pochi, ma cominciare creando di fatto una tendenza e una nuova cultura politica nella quale l’intelligenza creativa possa avere il suo luogo di espressione e di verifica. Quell’intelligenza della storia che è nella corde di chi si accosta alla politica e vuole dare a quella il sassolino del proprio originale e sincero contributo. Credo che si possa cominciare e certo male non farà, ma se si vuole dare un senso politico al centro sociale penso che non ci sia altra strada. Per adesso quella del leaderismo ha fatto buttare al macero 1.654.812 voti liberamente espressi. Calenda e Renzi evidentemente sono attesi a questi confronti dai quali dovrebbe prendere figura un embrione di nuova classe politica e dirigente.