A titolo meramente esemplificativo

Goccia su goccia, il vaso si è riempito e sta per traboccare.

Se qualcuno pensasse che questo 2020 abbia esaurito le sorprese riservate ai medici, ecco pronto un bel “pacco” natalizio, metafora calzante di nome e di fatto. Alcune compagnie assicurative stanno infatti avvisando coloro che hanno stipulato la polizza per RC professionale per colpa grave che, al rinnovo della stessa, non saranno più coperti per le “malattie infettive, le pandemie e le epidemie”.

E sono tanto cortesi, qualora il povero medico ignorante non ne fosse a conoscenza, da allegare un foglio esplicativo di ciò che la dicitura “malattie infettive” comprende, citando testualmente, guarda caso, la patologia Coronavirus 2019 “a titolo meramente esemplificativo”.

Nel corso di quest’ultimo anno segnato dalla pandemia da COVID-19, ai medici è stato chiesto di compiere sacrifici non quantificabili, costretti molto spesso a lavorare ben oltre l’orario di servizio, in condizioni talvolta al di là di qualsiasi possibilità umana, spesso in assenza di adeguati dispositivi di sicurezza e mettendo così a repentaglio la propria salute e, di conseguenza, quella dei propri familiari. E’ stato chiesto di prestare opera con turni massacranti nei reparti dedicati a pazienti affetti da Coronavirus, indipendentemente dalle proprie competenze, poiché vista la situazione di emergenza sanitaria, tutto è stato considerato giustificabile: la presenza in ospedale anche oltre le 24 ore consecutive, l’assenza delle 11 ore di riposo obbligatorie per legge tra un turno e l’altro, la flessibilità nel sapersi plasmare ora sotto forma di internista, ora sotto forma di infettivologo, ora sotto forma di tutto-fare, per garantire in solitudine la copertura di centinaia di posti letto. E’ stato chiesto di assumersi responsabilità che ben esulavano dalla propria formazione specialistica o dal proprio contratto di lavoro. E’ stato chiesto anche di limitare i propri spazi personali, di rinunciare al proprio tempo libero e ai propri affetti; di non abbracciare i propri figli, coniugi o genitori, di essere disposti a schierarsi in prima persona, eventualmente di ammalarsi e, purtroppo, in alcuni casi, perfino di morire.

Forse un Paese civile sarebbe capace di riservare ai propri operatori sanitari un trattamento di gratitudine per tutti gli sforzi fatti, in fondo senza protestare, in nome di quell’amore per la professione vissuta come missione, senza mai tirarsi indietro nonostante la realtà fosse la più spaventosa ipotizzabile. Forse un Paese dignitoso sarebbe quello capace di offrire, “a titolo meramente esemplificativo” e quanto meno simbolico, non di certo remunerativo, un anno di copertura assicurativa gratuita ai dipendenti del proprio Sistema Sanitario.

Nella nostra realtà fatta di incongruenze e contraddizioni accade al contrario che dopo il danno arrivi anche la beffa, e succede così che quando si tratta di doversi rimboccare le maniche, tutti possono far tutto; quando invece si tratta di essere tutelati, ecco che la settorialità assume un ruolo chiave. Verosimilmente a seguito di denunce sporte per casi di COVID a decorso infausto, diverse compagnie assicurative hanno infatti deciso di ritirare dalle polizze dei loro assicurati la copertura per “malattie infettive”.

Dicitura ampia, assai ampia, talmente tanto da estendersi ad interessare qualsiasi disciplina medica: dal chirurgo all’internista, dal dermatologo all’urologo, qualsiasi medico si trova a dover trattare, pressoché giornalmente, un qualsiasi caso di infezione di svariato genere. Dunque il medico si trova ad esser posto, più che ad una scelta, di fronte ad un ricatto, perché estendere la propria copertura assicurativa alle malattie infettive, con conseguente rialzo del premio annuale, diventa vincolante per poter continuare ad esercitare la propria professione, qualunque sia la specializzazione in cui opera.

Ed ecco che, alla categoria cui son stati chiesti sudore, lacrime e sangue per mesi e mesi, adesso viene prospettato anche questo distinguo . Si badi bene, non è questione di pagare qualche soldo in più per l’estensione della polizza, è una questione di principio. Quel principio che per troppo tempo è stato calpestato, senza trovare mai alcuna forma di protesta, alcun tentativo di opposizione. La classe medica non è affetta da “sindrome da risarcimento” , piuttosto la subisce e continua ad essere bistrattata, forse con una consapevolezza ormai acquisita, che il senso del dovere che le appartiene per statuto, dal giuramento di Ippocrate in qua, è tale da proibire qualsiasi rivalsa, sciopero o ribellione.

E se al contrario questa consapevolezza si dovesse ad un tratto sgretolare? Quanto sarebbero gravi le ripercussioni se questa bomba innescata ormai da tanto, troppo tempo, dovesse improvvisamente esplodere? Certo sarebbe un problema di spessore decisamente rilevante se il Sistema si trovasse a dover fronteggiare una pandemia in assenza di personale medico. Nessuno insegni come deve funzionare un ospedale senza averci messo piede, da operatore o da paziente che vi entra in condizioni disperate.
Un ospedale non è un casting da fiction ma un luogo di erogazione di un pubblico servizio in condizioni di estrema difficoltà, specie in questa fase drammatica di pandemia dilagante.

Probabilmente è giunto il momento di fermarsi a riflettere e provare a tamponare una situazione ormai prossima al limite, in cui la classe medica ha raggiunto un livello di saturazione, frustrazione e scoramento tali da mettere in dubbio la sua stessa, umana capacità di resistenza.

Certamente non è necessario individuare un colpevole, sarebbe invece più proficuo identificare diverse corresponsabilità: lo Stato che non tutela i suoi dipendenti, le compagnie assicurative che lucrano su una situazione di oggettiva difficoltà, il cittadino mosso dallo spirito di vendetta e di rivalsa verso il medico a suo parere pregiudizialmente incriminabile.

Goccia su goccia, il vaso si è riempito e sta per traboccare. Erroneamente, durante la prima ondata pandemica, più volte gli operatori sanitari sono stati paragonati ad eroi. Non è così, non è così affatto. Bisognerebbe al contrario ricordare che si tratta prima di tutto di essere umani, come tali dotati di sentimenti e limiti. E c’è proprio un limite, quello della oggettiva resistenza psico-fisica, che rischia di essere valicato, nonostante ogni sforzo contrario.