A cinquant’anni dai decreti delegati e a venticinque dall’autonomia scolastica la Commissione incaricata di redigere linee di indirizzo didattico per il primo ciclo di istruzione presenta al Ministro Valditara la bozza delle proposte che saranno socializzate per un più ampio dibattito che coinvolga le scuole e la società civile.
Non si tratta – come con frettolosa approssimazione una certa critica, composta in prevalenza da sedicenti esperti o aspiranti tali, ha etichettato – di veri e propri Programmi prescrittivi formalizzati con un provvedimento legislativo, come finora è stato per ogni ordine e grado del nostro sistema scolastico.
Si presume infatti che il testo definitivo sarà licenziato come ‘decreto ministerialè: inutile sottolineare come anche la veste normativa avrà la sua importanza. Non si tratta peraltro di un provvedimento autoritativo del Ministro poiché anche i sistemi scolastici anglosassoni – che sovente idolatriamo copiando lessico e contenuti didattici – muovono da tempo dal decentramento dei programmi verso un “common core” (un curricolo comune) senza essere tacciati di nazionalismo. Ciò premesso, al fine di comprendere l’indirizzo che il Ministero intende attribuire alle linee guida è utile partire da un presupposto che lo stesso Valditara considera esplicativo e dirimente per descriverne il basilare proposito: “prendere il meglio della nostra tradizione per costruire il futuro“. È di questi giorni la notizia che ancora una volta l’Università La Sapienza è giudicata la migliore del mondo, quanto a studi classici (dove ‘classico’ sta per ermeneutica della civiltà): partire dalla base del sistema scolastico per consolidare questo primato non è una forzatura ma un atto di coerenza pedagogica.
È ricorrente nel testo delle ‘indicazioni’, infatti, il recupero della tradizione culturale e formativa della nostra scuola, da tempo annacquata da innovazioni senza fondamento e costrutto che l’hanno ridotta ad un progettificio effimero e transeunte, dove si privilegia l’apparenza e si tralascia la sostanza, un ‘copia e incolla’ di frasi fatte e sillogismi didattici che non si approfondiscono, dove i corollari prevalgono sui contenuti e le riunioni pletoriche e ripetitive impegnano gli insegnanti in modo estenuante e improduttivo, sottraendoli alla classe e al rapporto diretto con gli alunni. Ci stiamo sempre più allontanando dalla metafora con cui il pedagogista Luigi Lombardi Vallauri descriveva la classe come “astronave di assorti”: un luogo dove insegnanti ed allievi sono idealmente uniti nell’impegno dello studio e della meditazione intesi come riflessione sulla vita e sul mondo, per liberare il pensiero e la fantasia in quanto spunto di trascendenza dalle cose, come nella trama del film “L’attimo fuggente”, interpretato da Robin Williams nei panni del professor Keating.
Per fare questo bisogna riconsegnare – simbolicamente – ai docenti le chiavi di accesso alle aule, ai libri, al sapere, alla conoscenza da stimolare e trasmettere insieme a questo il “gusto” di farlo. Restituendo loro l’immedesimazione in un compito professionale (che è anche funzione sociale) che è andato spegnendosi in una deriva di omologazione culturale. La grande bellezza della scuola italiana è il sapere ereditato, la cultura che entra passando attraverso la storia e le tradizioni. Ma è anche – per insegnanti e alunni, nel rispetto dei ruoli – la gratificazione di elaborare e compiere un percorso insieme, come direbbe Marguerite Yourcenar, per ammassare riserve contro l’inverno dello spirito, per scoprire sotto le pietre (dell’impegno e dello studio) il segreto delle sorgenti. La formazione iniziale e in itinere dei docenti è fondamentale per consolidare metodologie didattiche coerenti con le finalità educative che il sistema scolastico deve realizzare: il diritto allo studio, l’uguaglianza delle opportunità, la personalizzazione dei percorsi di apprendimento (ne trattava già la legge 517/1977), un’istruzione solida che attinga alle radici culturali tramandate ma sia aperta ad una ragionata innovazione, la valorizzazione del merito che si esprime attraverso l’ottimizzazione delle potenzialità di ciascun alunno, la libertà di insegnamento costituzionalmente garantita, per una scuola inclusiva e aperta a tutti.
Scorrendo la piattaforma “Scuola futura” del Ministero – tuttavia – si nota che nella quasi totalità dei corsi di formazione dei docenti previsti dal PNRR i modelli della cultura anglosassone risultano prevalenti rispetto alla tradizione del nostro sistema scolastico, in linguaggi, metodi e contenuti: persino la lingua italiana è espunta dai programmi di quel piano formativo. Per stabilire la necessaria coerenza tra le linee guida e la formazione dei docenti che saranno chiamati a realizzarle, sarà dunque necessaria una revisione della piattaforma ministeriale: dalla bozza consegnata al Ministro non risulta che la Commissione abbia palesato questo nesso che sembra invece propedeutico ed essenziale al buon esito delle ‘nuove indicazioni didattiche’