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giovedì, 22 Maggio, 2025
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Le parole sono armi spuntate (ma possono ancora ferire)

Filippo Facci esplora il naufragio semantico del nostro tempo: un dizionario contro la banalità, per tornare a guardare nella lingua la verità nascosta della realtà che racconta.

Parliamo prima dell’abito che del monaco-laico-pensatore: questo è un bel volume anche per la veste che la casa editrice ‘Liberilibri’ gli ha dato. E’ un piacere sfogliarlo e questa sensazione tattile gioca la sua parte ma quando lo apriamo per scoprirne il contenuto l’autore si riprende la centralità della scena.

Se l’obiettivo del libro di Filippo Facci è quello descritto dall’autore a pagina 37 dell’introduzione, cioè “spaventare, allarmare e far desiderare di lanciarlo dall’ altra parte della stanza”, non si può consigliare al lettore di tenerlo sul comodino, pena rimuginamenti interiori e notti insonni. Ma se scopo dellalettura è quello di suscitare riflessioni e uso del pensiero critico per riconsiderare con un approccio nuovo e diverso le metaforedella vita e le descrizioni che le accompagnano, da quello generalmente ricorrente nell’immaginario collettivo, allora questo ‘Dizionario del politicamente (s)corretto’ è un libro che vale la pena di scoprire.

L’autore punta l’indice contro i luoghi comuni del pensare, prevalentemente contro la cd. ‘cultura woke’ ma non solo: pur non annoverandoli tra le proprie citazioni si può scorgere tra le righe l’influenza esercitata dai detrattori della violenza simbolica perché ‘non guarda veramente dentro le cose chi non guarda dentro le parole: e chi guarda dentro le parole é condannato a combatterle, deve misurarsi col proprio spirito autocritico e con l’ossessione metalinguistica che, in ciascun senso della parola, vede la stanchezza di un senso potenzialmente diverso’. Banalmente, fondamentalmente la prima forma di violenza simbolica e di annichilimento collettivo sta dentro l’ordine delle cose, per come si presenta.

Ancora una volta la parola si posiziona al centro della riflessione di Facci: che sia usata sbadatamente o con disinvoltura, che sia frutto di un pensiero pensato piuttosto che di un pensiero pensante essa precede la realtà e la descrive, ne è sintesi estrema, infatuazione effimera, affabulazione devastante. 

Qui non c’entra solo la politica – nella cornice del politicamente (s)corretto – la riflessione è più ampia e abbraccia una dimensione collettiva, considera l’abbandono della ragionevolezza e della difficile strada della capacità di essere critici e autonomi nel porsi di fronte alla realtà: sul patibolo dunque l’autore mette fin da subito quelli che definisce gli ‘idioti’. 

Costoro sono quelli che pensano, per esempio, che lo sviluppo della tecnologia e della cultura si accompagni anche a uno sviluppo etico: non è vero, perché lo sviluppo della tecnologia ècumulativo (ogni scoperta si aggiunge al patrimonio di conoscenze precedenti) mentre lo sviluppo etico non è cumulativoper niente. 

Lo spiega bene l’economista Carlo Maria Cipolla: Non è che uno diventi necessariamente migliore di suo padre e di suo nonno, in fondo cominciamo sempre da capo. Il migliore dei nostri non èdetto che sia eticamente migliore di un greco dell’epoca di Aristotele. Da troppo tempo parliamo inseguendo l’uso e la comprensione di stilemi linguistici che pensiamo adeguati ma non ci riusciamo perché siamo preda di alfabeti di basso profilo semantico, l’uso ossessivo delle tecnologie non ci è di aiuto perché nel circuito delle comunicazioni verbali e iconiche siamo tutti appiattiti su una deriva verso il basso: in questo modo le parole non assumono il significato che vorremmo dar loro ma quello semplificato di un cortocircuito impoverito e riduttivo. Forse ne usiamo sempre meno, immaginando di comprenderci mentre in realtà l’incomunicabilità è un segno persino paradossale dei tempi e finiamo con il naufragare nel mare magnum di una ortodossia riciclata e poco consapevole.

Filippo Facci propone un dizionario esteso e variegato di espressioni lessicali, sono ben 284 in ordine alfabetico, da ‘accoglienza’ a ‘zoppo’ e dentro ci stanno vocaboli che usiamo o che sentiamo di frequente pronunciare.

E’ la libera deduzione di un libero pensatore che ritiene che le parole alimentino metafore poco consapevoli e convincenti perché la realtà è spesso avvolta e mistificata nella sua superficiale rappresentazione.

Siamo in presenza di una società dello sproloquio collettivo che ci rende succubi della globalizzazione dei linguaggi e della retorica della complessità: in fondo – secondo Facci – ci si ferma all’apparenza delle cose.

E’ dunque il conformismo culturale insieme all’uso inconsapevole delle parole il primo limite alla libertà di pensiero: il relativismo dei significati e dei significanti genera inconsistenza e parzialità del linguaggio.

Guardando dentro le parole e riscoprendole si può recuperare una visione più autentica della realtà.