Ci sono momenti, nella storia come nella coscienza collettiva, in cui non è più possibile andare avanti come se nulla fosse. Momenti in cui il rumore del mondo diventa assordante, e proprio in quel frastuono si apre uno spazio di silenzio diverso, quello delle domande fondamentali.
Quelle che non si possono più ignorare. Quelle che chiedono ascolto, coraggio, profondità. Viviamo in un tempo che accelera senza sosta, dove il valore delle cose si misura in termini di rendimento, utilità, visibilità. È per questo che oggi sentiamo il bisogno – anzi, l’urgenza – di fermarci. Non per disinteresse né per stanchezza, ma per riflettere, per comprendere, per domandarci che cosa significa essere umani.
Politica, economia e società in affanno
Oggi l’efficienza è diventata una regola assoluta, ma nel perseguirla stiamo smarrendo il significato profondo di ciò che facciamo. In questo clima, la politica rincorre le emergenze, dimenticando le radici; l’economia produce numeri, ma dimentica i volti; le società, pur essendo sempre più connesse, diventano anche più fragili, più divise e meno capaci di costruire futuro.
Ed è proprio in mezzo a tutta questa confusione che sento il bisogno di tornare a ciò che conta davvero. Di ritrovare, anche nelle difficoltà, una possibilità per ricominciare e dare nuovo senso alla nostra umanità.
Le ferite del nostro tempo
In particolare non si può non constatare che le guerre non distruggono solo i territori, ma straziano le coscienze. Di conseguenza le solitudini aumentano, anche nei luoghi più affollati, e le nuove povertà educative, relazionali e valoriali si diffondono in modo silenzioso ma profondo, penetrando nel tessuto delle nostre comunità.
In questo scenario diventa urgente ritrovare il senso dell’umano e riscoprire l’essenza profonda dell’essere persona con una forza silenziosa ma pervasiva. Non esiste tecnologia, innovazione, ideologia che possa sostituire ciò che ci rende autenticamente umani.
La radice dell’umano è la responsabilità
La vera radice è la responsabilità verso l’altro, silenziosa ma essenziale. Ma oggi è sotto attacco: minacciata dal bisogno costante dell’individualismo, della distrazione, del profitto e del culto della prestazione. Viviamo in un tempo in cui essere connessi conta più che essere vicini, dove si punta alla quantità invece che alla qualità.
Eppure, l’umano resiste. Resiste ogni volta che qualcuno si ferma ad ascoltare. Ogni volta che sceglie il rispetto invece della prevaricazione, la cura invece del giudizio, il dialogo invece del disprezzo.
Mettere la persona al centro
Essere umani, in senso politico e civile, significa affermare che ogni individuo ha valore. Che la dignità non è una concessione, ma un diritto inalienabile. Significa rimettere la persona al centro, come misura concreta delle politiche sociali, educative, ambientali, economiche.
Non possiamo più permetterci una visione della società che riduca l’essere umano a ingranaggio produttivo o a soggetto da governare. La democrazia vive solo dove l’umano è riconosciuto, ascoltato, valorizzato. Dove le istituzioni sono al servizio della persona, e non il contrario. Dove le fragilità non sono scarti, ma priorità.
Una nuova coscienza politica
La linea tra umano e disumano è sottile. E spesso la si oltrepassa in silenzio, con uno sguardo evitato, una parola taciuta, una legge frettolosa. È proprio per questo che oggi serve, più che mai, una nuova coscienza politica. Un pensiero lucido, capace di guardare oltre l’emergenza e l’immediato, e di affrontare con coraggio le sfide di lungo termine.
Di scelte coraggiose che guardino non ai sondaggi, ma al futuro. Serve visione. Per questo scelgo di tornare alle radici dell’umano. Non per nostalgia, ma per costruire un vero nuovo inizio.
Solo partendo da lì possiamo ritrovare un orizzonte condiviso e un patto civile che rimetta al centro ciò che conta davvero: la vita concreta delle persone. Solo così potremo costruire una società più giusta, una politica più alta, un’economia più equa. Solo così potremo restituire alla parola “progresso” il suo vero significato. Non un avanzamento cieco, ma una crescita condivisa.
E allora sì, torniamo ad essere profondamente umani. Perché, come ha scritto Papa Leone “l’umanità sarà grande solo quando sarà profondamente umana”.