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domenica, 18 Maggio, 2025
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L’eredità spirituale dell’Oriente cristiano: monachesimo, sinodalità ed ecumenismo

Di seguito un estratto dell’articolo di Stefano Caprio (“Il tesoro delle Chiese orientali”) pubblicato il 17 maggio sull’agenzia di informazione promossa dai missionari del Pime,il Pontificio Istituto Missioni Estere.

[…] Le Chiese orientali hanno guidato il cristianesimo universale nell’antico Medioevo soprattutto grazie al monachesimo, che insegnava il senso del mistero, la “mistagogia” ricordata da papa Leone, vivendo il cristianesimo come l’esperienza dello “stupore” e dell’annullamento di sé stessi per ritrovarsi nella comunione divina, come insegna la pratica dell’esicasmo del monte Athos, poi sviluppato in modo particolarmente intenso nel monachesimo russo. Questa tradizione non si è mai spenta e ha ispirato gli ordini religiosi latini per i secoli successivi, come gli stessi agostiniani di papa Prevost, una congregazione con radici a sua volta risalenti al periodo patristico del grande sant’Agostino. Ricordando una preghiera di sant’Efrem siro, il papa si propone di guardare alla “croce come ponte sulla morte”, una definizione straordinaria del ruolo stesso di “pontefice” tante volte richiamata già in questi primi giorni del ministero petrino.

Dopo anni del percorso della “sinodalità” proposto da papa Francesco, è oggi particolarmente importante riscoprire la dimensione ecclesiale conciliare degli orientali, che anche quando riconoscono il papa come autorità suprema, si governano comunque in modalità comunitaria e sinodale, scegliendo i propri gerarchi in autonomia, come avviene nelle Chiese ortodosse “autocefale”. Anche gli orientali cattolici sono indipendenti, facendo riferimento al Dicastero romano e chiedendo al papa la conferma delle proprie decisioni, assunte anche ricorrendo alla “sorte” nell’elezione del patriarca come fecero gli apostoli per completare il collegio apostolico, affidando alla scelta divina la nomina del dodicesimo apostolo Mattia, al posto di Giuda il traditore. Alla comunione sinodale degli orientali partecipano moltissimo anche i laici, uomini e donne a seconda delle diverse tradizioni; l’unico concilio nella storia della Chiesa in cui i laici erano più dei chierici fu quello di Mosca nel 1917, che ripristinò il patriarcato ortodosso e intendeva fare tante riforme, purtroppo soffocate dal nuovo regime bolscevico. Non a caso i russi hanno offerto la riflessione filosofico-religiosa della Sobornost, la “comunione conciliare” come dimensione fondamentale della vita della Chiesa e delle società umane.

L’incontro con gli orientali ha fatto anche risaltare un altro motivo della scelta del nome papale di Leone XIV da parte del cardinale Robert Francis Prevost, oltre all’intenzione del suo predecessore di fine Novecento di affrontare la rivoluzione industriale e le novità del mondo moderno, con l’enciclica Rerum Novarum del 1891 che ispira oggi a confrontarsi con la nuova “rivoluzione tecnologica”, digitale e artificiale. Papa Pecci infatti scrisse tre anni dopo anche una lettera apostolica dal titolo Orientalium Dignitas, citata nell’udienza di mercoledì scorso, in cui Leone XIII notò che “la conservazione dei riti orientali è più importante di quanto si creda” e a questo fine prescrisse persino che “qualsiasi missionario latino, del clero secolare o regolare, che con consigli o aiuti attiri qualche orientale al rito latino” fosse “destituito ed escluso dal suo ufficio”. Era il periodo in cui la Chiesa cattolica, sotto la guida del papa nativo della provincia di Roma, superò le posizioni secolari del cosiddetto “unionismo”, che intendeva riproporre quanto si era realizzato nel concilio di Firenze, per scoprire le nuove dimensioni dell’ecumenismo, che ha poi caratterizzato tutto il secolo successivo.

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