Dopo sedici anni di Cancellierato, resta arduo classificare la politica della Merkel. Disorienta i conservatori per la sua modernità. Femminile senza essere femminista. A Harvard elogia la democrazia e la libertà, a Pechino o a Mosca ne parla in modo più discreto, senza rinunciarvi del tutto. Per i sostenitori della Realpolitik è troppo aperta sui temi migratori, per altri è invece cinica, concentrata sulla difesa degli interessi tedeschi. Per molti tedeschi è stata troppo generosa e conciliante verso l’Europa.

Sylvie Goulard

Dopo sedici anni ininterrotti di cancellierato, dal 2005 al 2021, Angela Merkel si appresta a lasciare la guida della Germania. Si tratta di una longevità politica eccezionale – pari solo a quella del cancelliere Kohl, protagonista della riunificazione – per questa donna dal carattere riservato, che pochi possono affermare di conoscere.

Uno dei pochi aspetti personali su cui non ha mai fatto mistero è il suo impegno cristiano, alimentato dalla tradizione familiare: il padre, pastore protestante, decise di trasferirsi in Germania orientale durante il comunismo. La prima volta in cui ci incontrammo fu in occasione di un dibattito sull’Europa al convegno biennale della Chiesa evangelica tedesca, nel 2005, dove aveva appena fatto un intervento sul libro dei Maccabei davanti a più di mille persone. I valori protestanti e la sua infanzia in un Paese totalitario hanno accresciuto il suo amore per la libertà. Al suo insediamento, nel 2005, chiese di «osare più libertà». Parlando agli studenti di Harvard nel 2019, ha ricordato quando da giovane a Berlino ogni giorno camminava lungo il muro che la teneva prigioniera. In occasione delle celebrazioni per i 500 anni della Riforma luterana, nel 2017, ha insistito sui legami tra responsabilità individuale e libertà. Questo profondo senso di responsabilità traspare nella maggioranza delle sue azioni: responsabilità nei confronti del Bundestag (Parlamento), di cui mostra l’edificio ai visitatori dal suo ufficio, ricordando che la legittimità del potere viene dai rappresentanti del popolo; responsabilità morale individuale nelle scelte che vanno soppesate e nella cui complessità è talora difficile districarsi.

I tedeschi ne apprezzano la conoscenza dei vari temi e il linguaggio sobrio, come dimostrato ancora una volta durante la pandemia, quando ha trovato il tono giusto per parlare alle persone, invitando a un comportamento disciplinato con calma, rigore scientifico ed empatia. Per questo, malgrado alcuni momenti difficili, soprattutto durante la crisi dei migranti, continua a godere di una fiducia superiore al 70% nei sondaggi. Il soprannome affettuoso di Mutti (mamma) esprime bene il rapporto di Angela Merkel con il popolo tedesco: leader incontestata, amata dai cittadini, temuta negli ambienti politici, soprattutto dai potenziali rivali del suo partito, l’Unione cristiano-democratica di Germania (CDU, Christlich Demokratische Union Deutschlands).

Priva di un’impostazione ideologica, criticata per qualche posizione vaga, la Merkel ha guidato la Germania, e l’Unione Europea (UE), attraverso crisi conclamate e trasformazioni meno visibili. In generale, ha fatto leva sul gioco di squadra, una sua caratteristica, quanto mai preziosa quando si è alla testa di “grandi coalizioni” come nel suo caso: a più riprese con i socialdemocratici del SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands) o con i liberali del FDP (Freie Demokratische Partei). In alcuni casi, però, ha preso decisioni importanti da sola, senza consultare né i partner europei né gli alleati tedeschi, e scontrandosi con i suoi concittadini che non apprezzano le scelte “calate dall’alto”. [Continua]

 

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