Libri | Un saggio sulla rivalutazione della cosa pubblica

Di seguito un estratto da Salviamo la Cosa pubblica. L'anima smarrita delle nostre istituzioni (Edizioni di Vita e Pensiero)di Paolo Gomarasca, ordinario di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano, e Francesco Stoppa, psicoanalista di orientamento lacaniano.

Erano trascorsi solo venti minuti dalla mail con cui mi congratulavo per la sua brillante lezione, quando ricevo da Paolo questa risposta: «Prima o poi, però, qualcosa insieme potremmo scriverla».
La lezione toccava una problematica – il presente e il futuro delle nostre istituzioni – su cui entrambi siamo più volte tornati e che qui interroghiamo a partire dal concetto di Cosa pubblica. Un concetto quanto mai in bilico e non solo da oggi, visto che le infiltrazioni di logiche privatistiche nel funzionamento delle istituzioni pubbliche datano già dalla metà degli anni Novanta, in coincidenza con l’aziendalizzazione dei servizi sanitari e in parte della scuola (tutto ciò, va ricordato, grazie a un consenso bipartisan delle forze politiche presenti in Parlamento). 

Rimettere al centro del dibattito sulle istituzioni la loro natura di Cosa pubblica significa ribadirne la funzione di civiltà e in particolare il fatto che la loro vocazione è di essere allo stesso tempo di tutti e di ciascuno. Un’istituzione deve in sostanza porsi al servizio di un territorio e di una collettività senza, come si dice, lasciare indietro nessuno: pur rispondendo alle necessità su larga scala di una certa fascia di popolazione – il bisogno di cure, di istruzione, di servizi –, non dovrebbe perdere di vista la specificità delle realtà che intercetta e dovrebbe, nei limiti del possibile, recepire la declinazione singolare della domanda, esplicita o latente, che ogni soggetto porta con sé. L’uso dei condizionali è d’obbligo, perché non sempre riusciamo a stare al passo con ciò che chiamiamo civiltà e che, va detto, è pericoloso ridurre a un dato di fatto, una petizione di principio. Porsi ad esempio la domanda di quale e dove sia, se ancora ci sia, qualcosa come un’anima in quei potenziali presìdi di civiltà che sono le istituzioni significa aver ben presente che la parola in questione non designa tanto un concetto astratto quanto il fluire di una materia che non si vede – ànemos è il soffio vitale, il respiro – ma che si avverte e produce degli effetti. Se pensiamo ai nostri corpi, una corrente d’aria che li attraversa e ci tiene in vita. 

 

[Estratto dalla Premessa “Prima o poi doveva succedere: la Cosa ci aspettava”]

 

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