Roma, 28 gen. (askanews) – “Eravamo incerti, non sapevamo cosa fare. Mio papà decise che saremo scappati in Svizzera. Si preparò. Ebbe un permesso. Mio nonno aveva il Parkinson e per metterlo in salvo provammo a scappare in Svizzera. Dopo una fuga ridicola, da borghesi piccoli piccoli, mai ci aspettavamo che gli svizzeri ci avrebbero respinto. Riaccompagnati alla frontiera siamo stati arrestati. Lo ha detto la senatrice a vita, Liliana Segre, nel corso del suo intervento alla cerimonia che che si tiene al Quirinale sulla ‘Giornata della memoria’.
Quindi ha proseguito: “Essere arrestati da italiani che erano disperati nell’arrestarci. Il giro delle prigioni, Varese, Como, San Vittore. Poi siamo stati chiamati uno per uno per nome e portati sotto la stazione”. Poi il “ricordo” dei “calci e pugni” e della “violenza di tedeschi e fascisti, siamo stati caricati sui treni con carri bestiame. Un po’ di paglia, un secchio. I vagoni…”. Il viaggio verso il campo di concentramento fu “una settimana strana. Quelli più fortunati pregarono. Io vengo da una famiglia più che laica, atea. Molti piangevano. Poi hanno smesso. I fortunati pregavano”.
Le leggi razziali? “Nel ’38 dovevo far la terza elementare, credevo che le mia compagne di scuola mi avrebbero cercato, mi avrebbero continuato ad invitare. Solo tre che non ho mai dimenticato sono rimaste amiche, a seguirmi, a trovare quando sono tornata”.