L’immigrazione negli USA nel quarto anno di presidenza Trump

Nel 2020, e se otterrà un secondo mandato, Trump deve opporsi a tale progetto distruttivo con ogni mezzo che gli fornisce il potere esecutivo.

Oltre al falso impeachment e alle false indagini anti-Trump, di una cospirazione contro la parte migliore della nazione americana fanno parte le azioni del potere globalista e immigrazionista, che si oppone a ogni misura volta a contenere l’invasione di immigrati. Una politica dell’immigrazione che non aumenti la già notevole confusione della società, e che sia gestibile da un bilancio federale le cui risorse sono occupate per il 70% dal welfare, è la priorità. Voci credibili affermano che il sistema USA dell’immigrazione può rimanere generoso pur tagliando eccessi ed anacronismi. Quelle voci affermano che leggi più vicine alla realtà sono necessarie: leggi che riformino il diritto di asilo, blocchino i fondi federali alle città-santuario (cioè rifugio di clandestini e piccoli criminali), chiudano le falle maggiori del sistema immigrazione. 

 

Riguardo all’immigrazione e dunque al futuro del paese, decisivo è l’esito delle elezioni del 2020. In primo luogo riguardo all’immigrazione legale, che prosegue come se vi fossero territori di frontiera da popolare e con insufficiente attenzione al merito e alle qualifiche dei richiedenti. Programmi come la catena migratoria (che consente arrivi senza limiti ai parenti, spesso anziani o malati, di chi è già immigrato) sono divenuti un incubo. Secondo dati della Homeland Security, negli ultimi 10 anni sono entrati negli USA, grazie alla “catena”, oltre 6 milioni di persone, su un totale di 10,8 milioni di immigrati legali. La richiesta di Trump di ridurre a proporzioni ragionevoli la catena migratoria, consentendo l’ingresso soltanto al coniuge e ai figli, e di mettere fine alla “lotteria”, che concede 50 mila ingressi l’anno assegnati con una lotteria in paesi dell’ex terzo mondo, non è stata accolta dal Congresso, che è il ramo legislativo del governo e che ha ampi poteri in materia di immigrazione. Come per le obsolete (di oltre un secolo) leggi sul diritto di asilo, come per la pratica del rilascio dei clandestini fermati sul confine purché si accompagnino a minorenni o purché si dichiarino perseguitati nel loro paese d’origine (cosa che fanno quasi tutti), come per la spaventosa illegalità delle città-santuario (in circa 200 città e contee gli immigrati illegali sono esenti da espulsioni anche per i colpevoli di reati), i Democratici in Congresso si oppongono a ogni cambiamento. Ciò di cui essi si occupano è di combattere Trump con accuse infondate. Peraltro anche alcuni senatori del GOP proteggono gli eccessi dell’immigrazione, senza dubbio in favore di datori di lavoro e grandi società che impiegano gli immigrati a costi del lavoro ridotti. 

 

Se Trump otterrà un secondo mandato e se il GOP avrà la maggioranza alla Camera, mantenendo quella in Senato, per l’immigrazione legale un cambiamento potrebbe venire dalla proposta di Trump del maggio 2019 per una riforma che dia priorità a criteri di merito. Benché la proposta non riduca il numero degli ingressi, benché sia fin troppo moderata oltre che in ritardo di anni, i Democratici alla Camera l’hanno respinta. La riforma riduce i visti concessi per legami familiari, elimina la “lotteria” e alza al 55% (dall’attuale 10%) il numero di visti rilasciati in base a criteri di merito. Tra tali criteri vi sono la certezza di un impiego, la conoscenza dell’inglese e un esame di cognizioni civiche. Nessuno parla, invece, della misura che a me sembra necessaria, cioè il blocco totale dell’immigrazione, per un anno o più: unico strumento in grado di consentire una qualche integrazione per i nuovi immigrati. Misura da unire a decise espulsioni verso chi commette reati o verso spacciatori, membri di gang criminali e altro. Troppi giudici sono pronti a bloccare anche le delibere più necessarie. Però Trump è il capo dell’esecutivo. I suoi elettori gli chiedono di agire. Durante il primo mandato, in materia di immigrazione gli esiti sono stati inferiori alle necessità. 

 

Per quanto riguarda l’immigrazione illegale, sul confine con il Messico, che è lungo 2300 km, circa 100 km di già esistenti steccati, spesso facili da superare, sono sostituiti da efficaci barriere di assi d’acciaio e, a inizio 2020, vi sono altri 21 km di nuove barriere. Ma l’obiettivo del governo Trump di 560 km di “muro” (cioè le nuove barriere) entro fine 2020 appare fuori portata. Il grave ritardo ha molti motivi, in primo luogo l’accanimento dei Democratici in Congresso nel non concedere i fondi necessari. Nei bilanci per il 2018 e per il 2019, le richieste di Trump al Congresso per finanziare il muro sono bloccate dall’opposizione di tutti i Democratici e di alcuni senatori Repubblicani. Il database elettronico, per il controllo sui datori di lavoro che impiegano illegali, non entra in vigore. Solo a inizio estate 2019 il governo Trump porta cambiamenti sul confine. Gli ingressi illegali scendono dai picchi di 130-140 mila al mese di aprile-maggio 2019, a cifre di 40-50 mila al mese a fine 2019. I decreti di Trump per modificare il “ferma-e-rilascia” applicato da due decenni, i cambiamenti al vertice di alcune agenzie della Homeland e gli accordi conclusi dal governo Trump con il Messico e i paesi centroamericani, spiegano la riduzione nei passaggi illegali, che comunque rimangono di entità destabilizzante. Nel 2019 gli immigrati illegali sono stati più di un milione, come nel 2012 e 2014. Alla cifra vanno aggiunti coloro che passano non visti e non fermati. 

 

La piaga delle città-santuario e degli stati-santuario (California, Illinois, New Jersey, Maryland) ha devastato la convivenza in intere contee. L’ex ministro della Giustizia Sessions provò ad annunciare il taglio dei finanziamenti federali alle città-santuario, ma cause legali fermarono la sua azione. Da oltre dieci anni quelle città ostacolano e di fatto combattono l’agenzia federale ICE, delegata all’arresto e all’espulsione dei clandestini responsabili di reati. Di recente, a metà febbraio 2020, il ministro della Giustizia William Barr (così tanto invocato da chi chiede giustizia, e così tanto in difficoltà nella battaglia contro la cospirazione) fa un passo avanti con l’avvertire i governi delle città-santuario che “potrebbero essere implicati” in processi penali per aver protetto clandestini e criminali. Barr comunica che tre denunce sono depositate in tribunale (verso gli stati della California e del New Jersey, e verso una contea nello stato di Washington) per aver impedito all’agenzia ICE di applicare la legge. Barr afferma anche che i procuratori locali che condonano reati commessi dagli immigrati illegali verranno perseguiti, e aggiunge: “Prenderemo in considerazione iniziative verso i politici che ostruiscono l’applicazione delle leggi”. Se si tratti di un reale giro di vite, o soltanto di buone intenzioni che non avranno seguito, è difficile dirlo. Io tendo alla seconda ipotesi. La stessa cosa vale per le recenti denunce della Homeland verso la città di New York per aver reso ufficiale la pratica di garantire agli immigrati illegali la patente di guida (il che significa: garantire il voto) e di impedire ad agenzie della Homeland (ICE e CBP) l’accesso all’anagrafe dei veicoli, in questo modo rendendo impossibile il negare benefici a chi ha commesso reati registrati da quell’anagrafe. A New York la protezione e il voto per gli illegali, o anche per chi ha commesso reati (come dimostrano le nuove regole per il “rilascio su cauzione”, che conducono alla scarcerazione di pericolosi criminali), sono priorità per politici come il sindaco De Blasio, attenti a ciò che essi definiscono “i diritti della comunità di immigrati”.

 

Da parte sua il DoJ (Department of Justice) di Barr ha ancora centinaia di alti funzionari, residui del governo Obama, che appartengono alla burocrazia dello “stato profondo” impegnato nella cospirazione contro Trump e contro i suoi elettori. Il risultato è che dopo oltre un anno di gestione Barr non uno solo tra i conduttori della sovversione ha pagato per gli illeciti commessi. Il risultato è anche che decine di procuratori non pagano per azioni giudiziarie dettate da scopi politici avversi al governo Trump. Ciò avviene mentre il presidente viene attaccato dal coro dei media più diffusi anche soltanto per esprimersi in favore dei diritti di un cittadino, come accade quando egli denuncia l’indecente persecuzione giudiziaria, basata su accuse false, del suo ex consigliere Michael Flynn o la condanna, decisa da giurati che sono attivisti politici, del suo ex collaboratore Roger Stone per un reato (aver mentito ad agenti dell’FBI o in Congresso) per il quale i vertici del DoJ, della CIA e dell’FBI di Obama restano impuniti. 

 

Ma torniamo al confine con il Messico. Troppi politici e con loro i maggiori media fingono di non vedere che i cartelli della droga controllano il confine sul lato messicano e fanno passare, insieme agli illegali, quantità di droghe letali. Nel 2019 sul confine i sequestri di droga sono aumentati e, per la prima volta da decenni, negli USA le morti da overdose sono diminuite. Le droghe pesanti che entrano nel paese sono un tema di tale rilevanza per la società americana da giustificare, da solo, la costruzione di un muro e altre misure di controllo. Secondo testimonianze dei vertici della CBP (gli agenti di confine), dopo anni di governo Obama in cui la loro voce era inascoltata e anche denigrata, essi hanno nuovi mezzi. All’interno degli USA, la battaglia del governo Trump contro le gang criminali importate (come la banda MS-13, che è composta da immigrati centroamericani) ha avuto esiti positivi. Il fatto che media come la CNN o la NBC, e politici come il sindaco di New York (o quello di Chicago, o quello di Los Angeles, e molti altri), cerchino di travisare persino la battaglia contro le gang criminali, e attaccare Trump anche su questo tema, è un indice del loro degrado. 

 

Per i politici Democratici dell’era Trump, per il globalismo, per l’immigrazionismo, la difesa della società non è priorità. Tantomeno la difesa della nazione storica. Gli immigrati vengono attirati con le garanzie di un welfare dove molti programmi sono strumenti di consenso politico dai tempi di Franklin Roosevelt e da un decennio sono a rischio di bancarotta. Se un presidente, Trump, definisce emergenza nazionale l’invasione di immigrati illegali e cerca di arginarla, intervengono giudici, spesso nominati da Obama, che bloccano le sue azioni. Si finge attenzione umanitaria per i migranti, mentre si promuove una nuova forma di schiavismo. Si finge di non vedere che difendere il confine dell’Afghanistan dalle infiltrazioni del terrorismo, e avere un confine aperto con il Messico, è un’aberrazione. Si distrugge la convivenza nelle città un tempo vetrina dell’America (Los Angeles, San Francisco, Filadelfia, Denver, ed altre) facendole divenire rifugi di clandestini. Tornano a diffondersi malattie infettive un tempo sradicate, in conseguenza dell’arrivo di immigrati non vaccinati in comunità già sature. A Los Angeles, una città dove vi sono 70 mila persone senza casa che vivono in tende sulle strade, ma il cui governo apre le porte ai nuovi immigrati, a Los Angeles, dove in ville lussuose risiedono i miliardari di Hollywood, a Los Angeles nel 2019 vi è un’epidemia di tifo, dai mucchi di rifiuti escono i topi, alcuni poliziotti vengono ricoverati con diagnosi di malattie infettive. In altre città-santuario vi sono epidemie di tubercolosi, di morbillo, di varicella. Sono tutte città governate dai Democratici. 

 

Inizio estate 2019 è il momento peggiore sul confine con il Messico. In un’intervista (con Maria Bartiromo) del maggio 2019, Trump definisce la situazione sul confine sud “un disastro”. Dalla Camera con maggioranza Democratica non arriva alcun aiuto. Però per due anni, 2017 e 2018, i Repubblicani hanno la maggioranza in Congresso e non agiscono sul tema immigrazione, mentre per mesi Trump si lascia bloccare da polemiche perfide e strumentali, come quelle dell’estate 2017 con le false accuse di “razzismo”. Poi nel marzo 2018 Trump approva un mega-bilancio che non stanzia fondi per il muro sul confine. Il recupero che egli realizza nel 2019 è importante ma tardivo. Da anni nei settori più trafficati del confine (per esempio nella zona di El Paso, Texas) vi è un costante flusso di clandestini per tutto il giorno e la notte. Se essi si presentano con un minorenne, vengono considerati “unità familiare” e passano. Molti bambini vengono “affittati” in paesi del Centroamerica, portati sul confine per far passare i clandestini, e poi rimandati indietro per ripetere la truffa. Prima della riduzione nel “ferma-e-rilascia” di fine estate 2019, gli agenti della Border Patrol fermano gli illegali a migliaia, ma non possono mandarli indietro; devono occuparsi delle loro condizioni sanitarie, e poi devono iniziare la pratica per inviarli davanti a un giudice che deliberi sulla loro richiesta di “asylum” (spesso l’unica parola in inglese che i clandestini conoscono quando volentieri si consegnano agli agenti): un garantismo che sembrerebbe eccessivo persino in Europa. Gli immigrati sanno di aver davanti a sé anni di welfare garantito, e i sindaci Democratici delle grandi città lo ribadiscono a ogni occasione. Chi nel 2018 o 2019, tra i politici o nei media o nella finanza o nelle università, permette che tale “disastro” prosegua, odia l’America, oltre che odiare Trump. E ciò fa parte della cospirazione che ha cercato di rovesciare Trump. Il senatore Repubblicano Ron Johnson dice: “Siamo troppo stupidi per cambiare le leggi”. Ma sul lato dei Democratici e del garantismo immigrazionista non si tratta di stupidità, ma di intenzione malvagia.

 

Per un anno, dall’estate 2018 all’estate 2019, la cifra dei migranti illegali che attraversano il confine sud è tra i 70 mila e i 140 mila al mese. Carovane di migliaia di migranti attraversano il Messico su autobus, su camion, sul tetto dei treni merci, diretti a nord. Ma negli USA figure pubbliche nel mondo del giornalismo o dello spettacolo, e troppi giudici, sostengono l’immigrazionismo senza freni: essi agiscono in malafede o in nome di un’ideologia lesiva della società. Dopo decenni di confini aperti, la nazione paga un prezzo di confusione sociale, di incremento nella diffusione del crimine e della droga, di crisi nell’istruzione primaria (in parte migliorata dalla “scelta della scuola” promossa dal governo Trump), di alti prezzi nella sanità (solo in parte ridotti dalla cancellazione degli obblighi più pesanti per il cittadino, e più utili alle assicurazioni, della Obamacare). I politici Democratici vogliono i confini aperti con obiettivi elettorali e i giudici di sinistra deliberano affinché l’invasione prosegua. 

 

Vi è poi il tema della Homeland Security. Da quando fu stabilita dopo l’11 settembre, la Homeland è un mega-dicastero, il più grande negli USA, con duplicati e troppi incarichi, che vanno dal controllo dei passaporti alla guardia costiera (Coast Guard), dall’agenzia per i trasporti (TSA) a quella per la gestione dei disastri naturali (FEMA). Trump la vuole riformare, ma senza il Congresso non lo può fare. Nella crisi sul confine sud la Homeland è a lungo incapace, secondo osservatori credibili, di interpretare le leggi in modo tale da ridurre l’invasione. Non lo ha fatto il ministro Kirstjen Nielsen, nominato nel 2017, né il ministro McAleenan, nominato nell’aprile 2019, il quale si lamentava fin troppo che la Homeland non poteva, senza nuove leggi, gestire la crisi (da fine 2019 ministro provvisorio è Chad Wolf). Le poche centinaia di militari che nel 2019 arrivano in soccorso sono autisti per portare gli immigrati negli ospedali, psicologi per assisterli, cuochi per preparare i pasti: non militari armati per chiudere un confine al di là del quale il territorio è controllato da gruppi criminali, forniti di armi di ogni tipo. Non ci sono strutture per detenere le decine di migliaia di persone al mese che arrivano. Non ci sono giudici per deliberare rapidamente sulle loro richieste di asilo. Non si può mandare indietro chi arriva da paesi non confinanti. Di conseguenza, fino all’estate 2019 vi è il rilascio quasi totale di chi arriva. Le leggi sono incongrue, ma la Homeland appare priva di iniziativa. Inoltre, davanti a un’invasione, il controllo del confine con il Messico affidato ai civili, cioè alla Homeland, è insufficiente. Non vi è alcun motivo per non impiegare i militari per impedire gli ingressi illegali.  Finalmente, da metà 2019 in poi, vi è una correzione: i numeri del “ferma-e-rilascia” scendono, viene posta qualche condizione al diritto di asilo, e si ottiene che decine di migliaia di migranti attendano in Messico la delibera di un giudice sulla loro richiesta di accoglienza. Ma il flusso dei migranti illegali prosegue, con numeri di 40-50 mila al mese. 

 

Quando nell’aprile 2019 su Fox News David Asman chiede a Brandon Judd (che è a capo del Border Patrol Council): “Quanta parte dei clandestini sono portati sul confine dai cartelli della droga, a cui versano un importo in denaro?”, la risposta è: “Tutti. I cartelli criminali controllano tutto. Non si attraversa il confine, se prima non si paga.”. Tra i suggerimenti che arrivano al presidente vi è quello di definire i cartelli messicani della droga come gruppi terroristi, il che consentirebbe interventi contro di loro sul suolo messicano. O vi è quello di un decreto per respingere i clandestini che eccedono la capacità di detenzione, perché le leggi sul diritto di asilo non possono essere un viatico per il suicidio nazionale. Benché la responsabilità del non agire sia del Congresso e dei Democratici, la mia opinione è che Trump avrebbe dovuto fare di più sul tema dell’immigrazione, e farlo prima: due anni prima dell’estate 2019. Di certo l’indecente guerra mediatico-giudiziaria condotta contro di lui, con le false indagini e le accuse infondate, lo hanno condizionato. Ma, forse, anche il suo passato di datore di lavoro lo induce a una qualche considerazione positiva dei flussi di immigrati. 

 

Un tema esplosivo è quello dei rifugiati che l’ONU dichiara in fuga da paesi ad alta densità di terrorismo e che gli USA accolgono. Obama ne portò il numero a 100 mila l’anno, Trump lo ha ridotto a 30 mila. Uno dei maggiori crimini contro la nazione americana fu compiuto negli anni Novanta quando l’ONU, in accordo con funzionari del Dipartimento di Stato e con ONG americane, ottenne di collocare decine di migliaia di rifugiati somali (poi divenuti centinaia di migliaia) i cui precedenti politici non furono esaminati e che erano ben poco desiderosi di integrarsi. Essi furono assegnati al Minnesota, cioè quello che era uno degli stati più intatti, più vergini, più delineati di chiarezza nordica, d’America (è rimasto tale solo nel nord dello stato). Negli anni successivi centinaia di essi furono arrestati per attività jihadiste. Senza consultare gli abitanti della città (che allora non aveva il sindaco facinoroso e di estrema sinistra che ha oggi), essi trasformarono Minneapolis, la capitale, in una tana di integralismo islamico, che due decenni dopo, nelle midterm del 2018, avrebbe eletto per la Camera una donna, nata in Somalia, la quale esibisce impunita affermazioni di odio antisraeliano e antiamericano. Quanto è accaduto a Minneapolis è documentato da Michelle Malkin nel libro Open Borders Inc. Who is funding America’s destruction, in cui l’autrice definisce questo e altri episodi di insediamento di rifugiati “il racket da un miliardo di dollari”.

 

Nel 2020, e se otterrà un secondo mandato, Trump deve opporsi a tale progetto distruttivo con ogni mezzo che gli fornisce il potere esecutivo. Per arrestare la china, o provare a farlo, non serve la moderazione. Gli argomenti inclusivi, il tono presidenziale e l’ottimismo reaganiano, che hanno dominato l’eccellente discorso di Trump sullo “stato dell’Unione” del febbraio 2020, non modificano la violenta opposizione che egli incontra in materia di controllo dell’immigrazione.  Con i poteri conferitigli dalla dichiarata emergenza nazionale, Trump deve costruire la barriera sul confine nella misura più estesa e più rapida possibile. Deve far applicare alla Homeland Security le leggi esistenti in modo innovativo, mettendo al vertice le persone più adeguate (come fa a metà 2019, con Ken Cuccinelli e Mark Morgan, per due agenzie della Homeland). Deve fermare gli ingressi, anche quelli legali, per un anno o più, per stabilizzare la società. Deve mandare migliaia di giudici sul confine, affinché la delibera sulla richiesta di asilo sia immediata. Deve far deportare almeno i responsabili di crimini. Deve, deve, deve. Il compito è colossale, ma anche dettato da esigenze vitali. Fino a quando i Democratici controllano la Camera, niente può arrivare dal Congresso in materia di immigrazione. Dunque si può agire solo con i poteri esecutivi. Non c’è un terreno comune. Non vi sono obiettivi comuni. Con le elezioni del 2020 la decisione spetta ai cittadini americani.