L’intervento nel 1957 di Italo Calvino sul settimanale della Dc 

Nell’ultimo numero de “La Discussione” del 1957 si apriva un dibattito su “I giovani e la narrativa d’oggi”. Alla fine si contarono 24 interventi. Alle cinque domande rispose anche Italo Calvino. 

1 – In quale direzione può ritenersi incamminata la giovane narrativa sorta e affermatasi in questo dopoguerra?

Un dato comune a tutta o quasi la narrativa sorta nel dopoguerra è di essere partita come testimonianza. Il primo atto d’ogni nuovo scrittore, in questo dopoguerra, è stato di testimoniare: sulla sua esperienza in guerra, su una situazione sociale del suo paese, oppure anche sul costume della sua borghesia. Questa letteratura di testimonianza (e spesso di testimonianza amara, di denuncia), non accenna ad esaurirsi: si può ormai considerare una funzione permanente della letteratura, Spesso i suoi autori saranno autori di un solo libro: libro che pure può valere molto, come verità umana ed universale. Le figure di scrittori si precisano partendo di lì; chi ha una sua ricerca autonoma da svolgere, la svolgerà, ma quel primo bisogno di testimoniare su una realtà amara che lo ha mosso a scrivere continuerà a contare.

2 – Quale è stato l’influsso delle letterature straniere sui giovani scrittori? È esatto apparentare la narrativa americana a quella parte della nostra letteratura che va sotto il nome di «realismo»?

Per noi che ci siamo educati durante la guerra o immediatamente dopo, la letteratura americana ha contato come una scuola. Oggi, un clima realista circola dappertutto, come circolano dappertutto le più diverse esperienze letterarie. Del resto, in Italia lo scrittore è sempre stato culturalmente portato a considerare la narrativa su un piano mondiale: Manzoni guardava a Walter Scott, Verga a Zola.

3 – Ritiene che il periodo della Resistenza abbia rappresentato un punto a favore per la giovane narrativa? E perché?

Per quel che mi riguarda, la Resistenza mi ha messo al mondo, anche come scrittore. Tutto quel che scrivo e penso, parte da quell’esperienza. Solo le rivoluzioni, i grandi movimenti rinnovatori, mettono in moto la coscienza, dànno diritto a dire. E quando nello sviluppo di quei movimenti segue un ristagno, una restaurazione, si hanno le epoche leopardiane o stendhaliane, come forse quella che stiamo vivendo.

4 – Risponde a verità l’affermazione che una buona parte della nostra giovane narrativa è legata ancora a schemi e formule di un ormai sorpassato provincialismo?

 

 

C’è ancora una certa debolezza nel senso della complessità dei rapporti. Molti fanno della narrativa regionalistica meridionale: ma non si può parlare del Sud se non vedendo i suoi rapporti col Nord, col mondo industrializzato. Né di qualsiasi altro ambiente se non tenendo presente le sue relazioni e contraddizioni con tutti gli altri ambienti.

 

 

5 – Quali tra i giovani narratori di oggi le sembrano i più profondamente impegnati, sia per l’acquisizione nei loro libri delle nuove realtà umane e sociali, sia per la vigile strutturazione del linguaggio narrativo?

È troppo presto per dirlo. Si può tracciare un quadro ormai preciso degli scrittori che lavorano da venti, venticinque anni (i nati attorno al 1910). Anche del gruppetto dei nati intorno al 1915, che lavorano da prima della guerra. Di quelli solo da una dozzina d’anni sulla breccia, si potrà dire a poco a poco.

 

[L’intervento di Calvino usciva su “La Discussione” del 29 Dicembre 1957 (anno V, n. 210). Tutti i contributi furono poi raccolti in volume: AA.VV., Inchiesta sulla narrativa contemporanea, Edizioni Cinque Lune, 1958]