L’Italia pareva ai nemici del risorgimento un’espressione geografica. E oggi cos’è?

Purtroppo in Italia non si può più parlare, men che mai ragionare.

Il 2 agosto 1847 Metternich scrisse, in una nota inviata al conte Dietrichstein, la famosa e antipaticissima frase «L’Italia è un’espressione geografica». Tale frase stava a determinare, dal suo punto di vista, un popolo unito linguisticamente (per modo di dire), ma politicamente inesistente e perciò insignificante, visto che all’epoca era ancora divisa in tanti staterelli. 

E mi pare di ravvedere in essa ciò che i cosiddetti grandi d’Europa – con il loro modo di porsi ed agire – pensano di questa nazione: divisa, inconcludente, come una barca senza un vero timoniere.

Ma il problema, a mio modesto parere, non è tanto ciò che gli altri pensano di noi, anche se ciò influenza il mercato e fa salire lo spread. Il problema è: crediamo ancora di essere una nazione, come scriveva F. Chabod, di avere valori, cultura e lingua propria da salvaguardare, ma non da imporre come accade nei moderni nazionalismi? E pure che l’idea di nazione è inscindibile dall’idea di Europa? Crediamo nei valori democratici che statisti come De Gasperi e Aldo Moro hanno portato avanti anche a costo della loro vita, come accaduto per Moro?

Questa ennesima crisi di governo, esplosa – ma già in incubazione da tempo – con tanti se, ma, forse, dubbi, colpe di chi e quant’altro, ha messo in luce ancora una volta la volontà di credere all’idea che le cose si ottengano con la forza e i ricatti, con le menzogne e i doppi giochi e non con la nobiltà dei ragionamenti e del dialogo infarciti di autentici ideali democratici e di libertà, specie di espressione; valori, questi, sanciti dalla nostra Costituzione e necessari alla vita di ogni civiltà che si rispetti. 

Purtroppo in Italia non si può più parlare, men che mai ragionare. Prima di tutto perché la fanno da padrona i social dove la “tuttologia” è la nuova “dea ragione”: spesso sono diventati la piattaforma preferita di personaggi beceri e senza morale, che travisano frasi, parole. 

Secondo perché la rabbia, la frustrazione evidente o nascosta impedisce qualunque tentativo di conversare con chicchessia serenamente. Si è immediatamente attaccati, etichettati. Parli di sovranità, di diritti, di identità, di doveri e allora sei fascista. Parli del contrario e allora sei comunista, buonista e così via. O è bianco o è nero, non esiste il grigio, proprio come negli scacchi dove l’obiettivo – seppur intelligentemente e nobilmente – è dar scacco al re, ossia vincere guadagnando strategicamente posizioni. Oggi in Italia chi ha dato scacco a chi?

Personalmente sto dalla parte della democrazia. Mio padre è stato partigiano; mia madre prigioniera del X° MAS e scampata alla morte per miracolo. E lei a 17 anni in Veneto vedeva passare convogli pieni di prigionieri ed ebrei che venivano smistati in Germania, come carne da macello: urlando gettavano piccoli pezzettini di carta e chiedevano tra le lacrime di avvisare i parenti. 

In famiglia siamo cresciuti a pane e democrazia, educate al rispetto dell’altro; e poteva mancare il pane, ma non libri e giornali perché l’educazione, la cultura, sono la salvezza dell’umanità. Questo ci diceva mio padre, il quale prima che Saviano “fosse” ha subito le minacce e gli attacchi della camorra perché nei suoi articoli denunciava le prime discariche abusive nel casertano.

Quella Educazione Civica imparata a scuola – e che oggi non si sa più che fini abbia – mi ha forgiata, mi ha insegnato tanto. Ed oggi resto allibita dinnanzi a tanta ignoranza e a tanta mancanza di rispetto verso le Istituzioni, anche da parte di chi dovrebbe rappresentarle: perché non si può definire “striscione” la bandiera che ci rappresenta. 

Non sto dalla parte di Salvini nè di chiunque altro. Sto dalla parte di chi, come me, sogna un’Italia veramente unita – perché gli italiani non lo sono –, dove gli egoismi regionali non prevalgano sul bene comune nell’autentica accezione del termine: (non quello che dice: che bello, tutti stiamo bene insieme) quello che si preoccupa del rapporto tra persona e comunità e porta avanti progetti in grado di far crescere socialmente, culturalmente ed economicamente tutti, senza esclusioni. Nessuno si faccia illusioni perché a sud e a nord, ad est ed ovest di questa povera Italia, i furfanti vestono abiti di tutti i colori, di tutti i partiti, e non conoscono il tricolore. 

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Chiedo scusa ma questa ci voleva. E non è un uso spropositato del Vangelo, perché non faccio propaganda politica o ideologica, ma chiedo rispetto per un popolo e le sue istituzioni, rispetto per i giovani in cerca di un lavoro, per chi l’ha perso, e per le donne che nel mio paese d’origine vanno a raccogliere i pomodori a 4 euro l’ora sotto il sole, senza nessuno che le tuteli. Perché i caporali c’erano già prima degli immigrati e gli sfruttatori sono sempre esistiti.

Non so se chi cerca di rappresentarci conosce tutto questo o pratica solo lo sport dell’“acchiappa la poltrona”.

Intanto sono iniziate le consultazioni. Che triste spettacolo il via vai dei politici al Quirinale per le consultazioni di rito, per l’ennesimo funerale di questa democrazia ferita nel profondo e del diritto degli italiani ad essere degnamente rappresentati. 

“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”