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mercoledì, 31 Dicembre, 2025
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Lo storytelling delle nostre società non è più adeguato alla velocità dei progressi tecnologici

Tra miti fondativi, religione dei dati e intelligenza artificiale, l’umanità è chiamata a ripensare il proprio racconto di sé per non smarrire democrazia, responsabilità e libero arbitrio nell’era dell’algoritmo.

La narrazione come chiave di lettura del mondo

Un termine che oggi va molto di moda fra giornalisti, politologi e analisti geopolitici è quello di “narrazione”: in sintesi, indica il modo in cui il mondo viene raccontato, anche quando la realtà dei fatti non coincide pienamente con quanto viene rappresentato.

Uno dei maggiori storici contemporanei, Yuval Noah Harari, ha fornito una lettura dell’evoluzione umana basata sull’idea che l’Homo sapiens abbia creato e creduto in miti condivisi — come il denaro, l’identità nazionale o i diritti umani — che hanno consentito l’innesco di una cooperazione su vasta scala, permettendogli di dominare il pianeta pur attraversando guerre e conflitti.

Questi miti, che egli definisce “finzioni” perché non intrinsecamente reali, hanno comunque reso possibile il funzionamento delle società complesse fino a oggi. Inoltre, il patto siglato tra scienza e umanesimo ha posto l’uomo al centro come sorgente di significato e autorità.

Dal progresso allillusione di onnipotenza

Questa alleanza ha portato ai notevoli progressi che conosciamo, ma ha anche generato un’eccessiva fiducia nelle capacità dell’umanità di risolvere qualsiasi problema o conflitto, spingendo l’azione umana a ricercare obiettivi fuori dalla propria portata, come la felicità perfetta o l’immortalità.

Nell’illusione di avvicinarsi alla divinità attraverso le sperimentazioni genetiche e biotecnologiche, si è passati simbolicamente da Homo sapiens a Homo deus.

Nonostante queste deviazioni, la costruzione sociale ha retto e la convivenza — così come il benessere, almeno per una parte del pianeta — è stata garantita. Tuttavia, nel XXI secolo stanno emergendo alcune variabili in grado di mettere in discussione questo paradigma.

La religione dei dati” e il rischio del controllo

Tra queste vi è la cosiddetta “religione dei dati”, che misura il valore di qualsiasi entità, compresa quella umana, in base alla capacità di elaborare e condividere informazioni. Questa visione mira a sottrarre centralità all’uomo per attribuirla all’algoritmo, con la ferma convinzione che esso sia in grado di decidere e agire meglio di un essere vivente permeato di emotività e ideologie.

In questo processo, che Harari definisce transumanesimo, le élite saranno dominanti, mentre emergerà una “classe inutile”, composta da coloro che, non possedendo strumenti né competenze adeguate, verranno lasciati indietro. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, se non correttamente gestito, può portare alla creazione di regimi di controllo che finora appartenevano solo alla narrativa fantascientifica, capaci di monitorare non solo le azioni, ma anche i pensieri e le emozioni delle persone, limitandone significativamente il libero arbitrio.

Le disuguaglianze tecnologiche potrebbero inoltre ampliare il divario economico e, ancora oggi, non è chiaro quali posti di lavoro siano realmente minacciati dall’intelligenza artificiale né quali competenze il sistema educativo dovrebbe sviluppare per consentire un’integrazione armonica tra uomo e IA.

Una scelta di civiltà davanti allumanità

È ormai evidente che l’umanità si trova di fronte a una scelta: vivere in un sistema di controllo totalitario, in cui le decisioni sono prese da un ristretto gruppo di persone, oppure costruire una cooperazione globale fondata su istituzioni internazionali capaci di affrontare le sfide più urgenti che minacciano l’uomo, come il cambiamento climatico, il disarmo nucleare e lo sviluppo impetuoso dell’intelligenza artificiale.

Al momento, nelle maggiori potenze mondiali sembra prevalere la prima opzione, quella del controllo, accompagnata da un lento ma continuo indebolimento delle democrazie occidentali.

Scrivere una nuova narrazione: un compito non rinviabile

È dunque arrivato il momento di elaborare una nuova narrazione che non sia una semplice reazione difensiva al cambiamento tecnologico, ma un progetto consapevole e condiviso sul futuro dell’umanità. Una narrazione capace di restituire senso all’azione collettiva, di ricollocare la tecnologia all’interno di un orizzonte etico e politico e di riaffermare la centralità della responsabilità umana nelle decisioni fondamentali.

Senza questo sforzo, il rischio è che l’evoluzione tecnologica proceda in modo autonomo, guidata esclusivamente da logiche di efficienza, potere e profitto, svuotando progressivamente la democrazia e il libero arbitrio.

Per costruire questo nuovo racconto è indispensabile un investimento strutturale nell’informazione critica, nell’educazione al pensiero complesso e nel contrasto sistematico alla disinformazione che prolifera nei sistemi mediatici contemporanei. Tuttavia, nessuna narrazione potrà essere credibile senza una classe dirigente all’altezza delle sfide in corso: una leadership capace di superare il corto respiro degli interessi nazionali e delle convenienze elettorali, di recuperare una visione di lungo periodo e di promuovere forme autentiche di cooperazione globale.

 

Cosa significa essere umani

La posta in gioco non è soltanto l’organizzazione economica o l’evoluzione tecnologica delle nostre società, ma la definizione stessa di cosa significhi essere umani nell’era dell’intelligenza artificiale. La scelta che si profila davanti a noi non è tra progresso e conservazione, bensì tra un futuro governato consapevolmente dall’uomo e un futuro in cui l’uomo rischia di diventare un semplice ingranaggio di sistemi che non controlla più. Scrivere una nuova narrazione, oggi, non è un esercizio culturale: è un atto politico e morale non più rinviabile.