L’OSSERVATORE ROMANO, QUANDO È L’ALGORITMO A FARE MUSICA.

 

«Naive Bayes», lultimo progetto discografico di Emanuele De Raymondi. «La macchina prova ad apprendere per poi scimmiottare la creatività umana con risultati altalenanti… a momenti sembra tentennare o andare in tilt e, alla fine ne esce irrimediabilmente sconfitta: il pezzo si conclude non a caso con lensemble di musicisti finalmente soli e liberati dalla presenza dellelettronica/macchina».

 

Filippo Simonelli

 

Naive Bayes è un nome noto a chi si occupi di statistica e intelligenza artificiale, ma è qualcosa di assolutamente inedito per chi fa musica. Il Naive Bayes, di fatto un “classificatore”, è uno strumento tramite il quale l’intelligenza artificiale può imparare nuovi concetti e azioni tramite l’esperienza, proprio come gli esseri umani. Da qualche settimana però Naive Bayes è anche il titolo dell’ultimo progetto discografico di Emanuele De Raymondi, compositore romano, e dell’Ensemble Sentieri Selvaggi edito dall’etichetta ProMu. Un progetto che unisce cd e interpretazione dal vivo, musica “acustica” e una componente elettronica molto spiccata, e soprattutto getta nuova luce sul possibile rapporto tra creatività umana e universo tecnico.

 

De Raymondi, la mente (tutt’altro che artificiale) dietro a questo progetto, cerca di chiarire fin da subito alcune delle domande che il suo lavoro sembra porre. A cominciare dal nome, che in realtà ha un collegamento molto più sottile ma comunque chiaro tra la sua musica e il “classificatore”: «Ho immaginato come se a comporre fosse un algoritmo di apprendimento automatico, rappresentato didascalicamente dalla traccia elettronica, che venisse sottoposto all’analisi della storia della musica classica e contemporanea, al fine di apprendere l’arte della composizione». Questa simulazione di apprendimento si articola in diversi modi, che vanno dalle (sporadiche) citazioni letterali alle ben più frequenti citazioni stilistiche, omaggio a un’idea o a un linguaggio di questo o quell’autore che ha influenzato il corso della storia della musica. L’idea di base è che la musica sia comunque musica colta, che raccoglie stimoli e suggestioni dalla tradizione di tutti i secoli precedenti — c’è Beethoven, ma c’è anche John Adams, e ci si possono rinvenire citazioni nascoste che l’autore stesso ha inserito in maniera inconsapevole, proprio come se lo avesse fatto tramite una macchina vera e propria.

 

Ma se tante sono le citazioni, ancora di più sono le invasioni provenienti da altri mondi che magari farebbero storcere il naso a chi si aspetta a un progetto di pura musica colta. Con delle premesse di questo tipo, i musicisti che interpretano questo tipo di musica devono essere non solo degli specialisti della contemporanea, ma anche degli interpreti capaci di approcciarsi con la giusta sensibilità a un progetto così fuori dai canoni stilistici di tutti i generi musicali, proprio perché ne incorpora mille e più al suo interno. La scelta dunque non poteva che essere rivolta ai Sentieri Selvaggi, il poliedrico ensemble fondato e diretto da Carlo Boccadoro, che da anni porta al pubblico alcune delle proposte musicali più audaci in Italia. A livello di scelta lessicale, è interessante notare come i Sentieri si autodefiniscano da anni una band, come se fossero un gruppo rock: si aggiunge un nuovo tassello a questa storia di contaminazione, proprio nello spirito di fornire più informazioni possibili al nostro ipotetico algoritmo. «La macchina prova ad apprendere per poi scimmiottare la creatività umana con risultati altalenanti… a momenti sembra tentennare o andare in tilt e, alla fine ne esce irrimediabilmente sconfitta: il pezzo si conclude — non a caso — con l’ensemble di musicisti finalmente soli e liberati dalla presenza dell’elettronica/macchina».

 

C’è un’ultima provocazione che però De Raymondi lascia irrisolta sul tavolo per tutti i suoi potenziali interlocutori e ascoltatori, e che seppure sia nato nel contesto musicale in questo caso in realtà può riguardare infiniti ambiti della creatività umana: «E se fosse che l’algoritmo, invece di essere stato sconfitto, ha avuto la meglio e ha “colonizzato” la modalità compositiva umana? Come potremmo distinguerlo?».

 

 

Fonte: L’Osservatore Romano, 29 luglio 2022.

[Qui pubblicato per gentile concessione]