Una dogana culturale
Il Louvre non introduce un semplice rincaro: disegna una linea di confine. I visitatori extra-UE pagheranno fino al 45% in più. Non per qualità del servizio, ma per provenienza. La cultura, nata come bene universale e democratico nel cuore della modernità europea, si trasforma in un bene condizionato: “tu sì, tu no”, a seconda del passaporto. È l’esatto contrario dell’intuizione rivoluzionaria che trasformò i palazzi reali in luoghi del popolo.
Il museo giustifica la scelta con ragioni tecniche: afflusso eccessivo, costi di sicurezza, restauri costosi. Problemi reali, che però chiamano risposte lunghe, cooperative e strutturali. Invece si preferisce la risposta più rapida: monetizzare, colpendo chi viene da fuori. Il turista argentino, lo studente coreano, la famiglia marocchina che ha risparmiato mesi per entrare al Louvre: tutti diventano “estranei da cui attingere”.
Il confronto europeo
Non è in discussione il diritto dei musei a sopravvivere. Il British Museum ha da anni un modello misto: accesso gratuito alle collezioni permanenti, ticket per mostre temporanee. Non umilia il visitatore, gli chiede una scelta. Il Prado gioca sugli orari di ingresso: fascia gratuita per cittadini e residenti, ma il turista non viene marchiato. Gli Uffizi adottano un pricing stagionale: non importa da dove vieni, importa quando arrivi.
Sono politiche perfettibili, talvolta discutibili, ma conservano un principio: non trasformano l’origine geografica in criterio morale. A Parigi, invece, la carta d’identità diventa variabile economica. Chi appartiene alla “comunità europea” paga meno perché “è dei nostri”. Chi no, contribuisce di più. Ed è qui che il discorso cambia: non parliamo più di gestione, ma di simboli.
Una frattura…di civiltà
Se i musei europei assumono la forma di bastioni territoriali, l’idea stessa di Europa si incrina. La cultura non serve a premiare o punire: serve a creare ponti. Gli extra-europei non sono un pubblico periferico, sono il pubblico naturale dei grandi musei. L’arte occidentale non vive senza il desiderio di chi viene da lontano, perché è proprio quello sguardo esterno a verificarne l’universalità.
Il Louvre — tempio di libertà creativa, di incontri fra civiltà, di contaminazioni — manda oggi un messaggio regressivo: la bellezza è a portata di mano, ma solo di chi appartiene alla nostra cerchia politico-istituzionale.
Resa strategica
È una resa strategica. Invece di investire in educazione, cooperazione museale, politiche di contenimento intelligenti, si imbocca la scorciatoia della tariffa-profilo. A breve termine porta incassi. A lungo termine genera rancore, distanza, e una geografia culturale che assomiglia più a un checkpoint che a un ideale europeo.
Non è solo un museo che cambia. È la grammatica della cultura europea che si deforma. E, quando la bellezza smette di unire, la barbarie del mercato inizia a prenderne il posto.

