Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo dell’on. Tarolli (ParteBianca)
Rispetto al dibattito e agli auspici che in Italia, fra gli attori della politica, ci sia anche una “realtà centrista”, scenario che senz’altro condivido, occorre avere chiaro da dove si viene. Non tanto per fare i censori, quanto per partire da una necessaria analisi critica di quanto gli ultimi decenni ci hanno consegnato.
All’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso, la DC – partito che aveva guidato l’Italia per mezzo secolo e che poteva vantare almeno tre successi storici: l’uscita dell’Italia dalla povertà e l’entrata nel novero dei paesi più evoluti, essere stata fra i fondatori della Nuova Europa e di aver concorso alla sconfitta storica del comunismo! – si sgretola e si sbriciola.
I Dirigenti del tempo si dimostreranno impari alla sfida. Chiudono e consegnano la cultura che aveva concorso a governare il Paese alla irrilevanza.
Si apre una fase nuova. Si pensa di poter entrare nell’età dell’oro! Si parla di seconda Repubblica. Ci si convince, che solo un sano bipolarismo sia in grado di far uscire l’Italia dalla palude delle mediazioni e di assicurare un salvifico approdo ad un Sistema che consenta l’alternanza alla guida del Paese.
Si afferma l’esperienza del partito del leader.
Il riferimento diventa Berlusconi, che lancia Forza Italia, e che coinvolgerà Alleanza Nazionale, nata sulle ceneri del Movimento Sociale, e la Lega, che da voce a tanta parte del Nord del Paese, soprattutto ai ceti produttivi.
Farà sognare! Con il sogno della rivoluzione liberale, con l’esaltazione della meritocrazia e della semplificazione, con il miraggio del calo delle tasse.
Vincerà e perderà; ma per due decenni sarà il dominus.
E nell’area della sinistra?
Fra una divisione e l’altra, il Pci evolve prima in Pds, e poi in Pd. Ma sempre all’insegna dell’inseguimento.
Aspirando ad essere progressista a tutti i costi, contagiato dalle esperienze clintoniane e blairiane, cavalca a briglia sciolta la globalizzazione, il leaderismo, le liberalizzazioni, le semplificazioni, anche il precariato.
Si fa paladino delle tematiche dei diritti, cedendo alle spinte radicali e perdendo, così, progressivamente la sua anima e la sua attrattività.
In pari tempo la UE perde i suoi caratteri originari, di essere popolare, sussidiaria e promotrice di crescita. Per approdare ad una UE dei criteri e delle regole, della stabilità, e delle tecnocrazie illuminate.
E, infine, un po’ tutto l’Occidente non sa declinare in modo organico e sistematico il passaggio dal secolo delle Ideologie, con i suoi schematismi anche manichei, al secolo delle Libertà, che deve potersi esprimere non solo nella sfera individuale ma anche dentro un contesto comunitario.
In questo quadro, l’Italia non metabolizza il sistema bipolare, ma rimane ancorata alle sue peculiarità e ai suoi territori. La semplificazione maggioritaria non sfonda. Le due coalizioni, di centro-destra e di centro-sinistra, si formano e governano con l’apporto di partiti e partitini.
Ora, il giudizio di chi ha governato in questi ultimi 27 anni sta davanti a noi nella crudezza della sua realtà.
Gli indicatori sono impietosi: l’economia ci ha arricchito di sofferenze. Le “politiche dei numeri” (regole, criteri, tasse, inflazione..) ci tengono ai livelli del 1998. La qualità e il funzionamento della nostra democrazia si è impoverita. Il Parlamento è stato anestetizzato. E la tensione etica e valoriale si è affievolita.
Le illusioni e le speranze iniziali, come la valanga di Rigopiano, si infrangono e vengono travolte. A noi rimangono solo le macerie.
E irrompono nella partita Grillo e i 5 Stelle. Con il loro carico di cambiamento e rigenerazione, ma pure con il carico di impreparazione, improvvisamente e semplicismo.
Con il loro ingresso, il sistema politico italiano approda al tripolarismo, con le novita, le anomalie e le difficoltà conseguenti.
Un dato però merita di essere rimarcato: se la crisi economica successiva al 2007/2008 deve essere considerata, per voce degli esperti, più grave di quella della fine degli anni venti, vuol dire che il sistema politico come quello di protezione sociale ci ha messo al riparo dalle terrificanti derive a cui si era approdati negli anni trenta.
La conclusione che ci pare di poter trarre, anche se in apparenza di parte, può essere così sintetizzata: nei 27 anni in cui la tradizione politica italiana del popolarismo cristianamente ispirato è stata divisa, e quindi non in grado di giocare la partita, il Paese ne ha pesantemente sofferto.
E questo non perché sia una cultura vecchia, superata o minoritaria, altrimenti non si spiegherebbe come il Paese che guida l’Europa, continui ad essere ancora governato proprio da questa cultura.
Semplicemente perché bisogna ritornare a una “unità possibile”, la più ampia possibile, aperta a credenti e non, che non corre in soccorso di altre culture, ma che intende giocare una testimonianza in autonomia dentro la palestra del sistema delle alleanze.
- Ivo Tarolli, già parlamentare (ParteBianca)