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martedì, 24 Giugno, 2025
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Lupis, viaggi d’anima tra natura e immaginazione

Il libro di Marco Lupis ci pirta nei luoghi remoti del pianeta, dove l’avventura si fonde con riflessioni esistenziali, ispirando sogni di libertà e scoperta in un mondo isolato e selvaggio.

Leggendo il coinvolgente resoconto dei suoi approdi nelle isole più lontane e sperdute del pianeta, ogni lettore, curioso e partecipe ma soprattutto affascinato, coltiva inevitabilmente il rimpianto di non aver potuto farsi piccolo piccolo per entrare nello zaino di Marco Lupis, giornalista ed esploratore che ha raccolto in questo straordinario libro edito da Il Mulino (Ai confini del mondo. Storie di isole lontane) la cronaca e la descrizione dei suoi viaggi. L’iconografia dell’isola ha sempre rappresentato una metafora ricca di allegorie palesi e recondite: il senso dell’avventura, l’intrigante richiamo dell’ignoto, l’alterità rispetto alla vita quotidiana, il luogo della fuga e dell’immaginazione, la lontananza irraggiungibile, il buen retiro, la ricerca di sensazioni nuove o perdute, il sogno e le distopie, il distacco dalle civiltà conosciute, l’occasione estrema di una rivisitazione esistenziale, il perdersi per ritrovarsi, le dimensioni umane nascoste che abitano il desiderio di ricominciare e quello di annullarsi nell’oblio.

L’isola come simbolo universale

Non solo dunque espressioni geografiche minuscole, “puntini, atomi, capocchie di spillo”, ma vere e proprie rappresentazioni simboliche dell’immaginario collettivo, cariche di significati esistenziali, già presenti nel mito e poi trasmesse nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. Il concetto di insularità ha attraversato la storia e la letteratura di ogni epoca, alternando motivazioni diverse: dal richiamo a partire che diventa nostalgia del ritorno nell’Itaca di Ulisse, al luogo di confinamento, prigionia ed emarginazione dal mondo come l’Île d’If per Edmond Dantès nel Conte di Montecristo, o come Sant’Elena per Napoleone Bonaparte.

Dai mari remoti alle isole disabitate

Nella sua circumnavigazione dell’orbe terraqueo Marco Lupis ha visitato diciannove isole: dalle più abbordabili e vicine alla costa dei continenti, come Sachalin, a quelle remote e davvero “isolate” come Tristan da Cuna, sperduta nell’Atlantico e distante 2.810 km da Città del Capo e 2.172 km a sud di Sant’Elena. Confesso che quest’ultima citazione non cade nel vuoto per la mia immaginifica predilezione verso quest’isola, dove vive un insediamento umano in parte di origini liguri, il più lontano al mondo dalla terraferma.

Il viaggio come scoperta e riflessione

Tra tanti depliant patinati di mete da sogno, questo libro si distingue per la sua rara capacità di sollecitare una fantasia partecipe, e fa tornare alla mente quelle parole – attribuite a Marcel Proust – secondo cui il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Senza questa visione, il lavoro di Lupis sarebbe solo un catalogo divulgativo come tanti. Come ci insegna Thomas Stearns Eliot, spesso è il viaggio stesso a contare più della meta.

Ricordo ciò che mi disse il navigatore solitario Giovanni Soldini, in un’intervista di qualche anno fa: “La passione si esprime nel viaggio, la gioia nell’arrivo. Personalmente, più del ritorno per me conta la conclusione del viaggio, l’approdo alla destinazione prefissata, considerando anche l’attesa e il tempo trascorso in mezzo al mare. Confrontarsi con la natura in modo diretto consente di ridimensionare il modo tipico di pensare dell’uomo moderno, che immagina – sbagliando – di dominare il mondo mentre, in realtà, la sua esistenza dipende in tutto e per tutto dal mondo stesso e dalle leggi della natura”.

Le isole come microcosmi dell’anima

Ci sono isole disabitate, tribali e selvagge, atolli remoti e dimenticati, e altre dove si è sviluppata una vita comunitaria, a volte ancora primordiale come nel villaggio di Macondo descritto da Gabriel Garcia Marquez, altre invece antropizzate e regolate da tradizioni storiche gelosamente custodite. Qui, nel cuore della lontananza, non mancano opportunità per rendere meno aspra e ansiogena la vita di ogni giorno, in una condizione di estrema distanza dal resto del mondo. Si tratta di microcosmi che l’autore racconta con dovizia e con una narrazione sui generis.

L’isola nel cinema e nell’immaginario contemporaneo

Anche il cinema ha evocato e rivisitato il mito dell’isola sperduta, con i suoi chiaroscuri drammatici e i monologhi dei naufraghi che vi trovano rifugio. Basti pensare a Cast Away, dove un magnifico Tom Hanks interpreta Chuck Noland, dirigente operativo della FedEx e unico superstite di un incidente aereo. Noland finisce arenato sulla spiaggia di Monuriki, un piccolo atollo disabitato dell’arcipelago delle Mamanuca, nelle Figi, e vi rimane per quattro anni, mentre amici e fidanzata lo credono disperso in mare. Si salverà con coraggio, arricchito da un’esperienza unica e straordinaria che gli permetterà di conservare la speranza ad ogni nuovo incrocio che la vita gli porrà davanti.

Le isole come rifugio dei desideri e dei timori

In questo libro che ci conduce ai confini del mondo troviamo una mappatura geografica, storica e aneddotica dei luoghi visitati dall’autore. Ogni lettore può adottarne uno e immedesimarsi in un viaggio immaginario carico di suggestione.

Gli uomini del nostro tempo non hanno perduto il desiderio della scoperta e l’utopia dell’appagamento lontano. Anzi, in questa epoca di globalizzazione e omologazione culturale, di incertezze emotive, relazioni umane problematiche e solitudini inespresse, sognare un’isola remota dove staccare la spina dalle ansie e dalle pressioni di una realtà appiattita e eterodiretta dai social e dai media diventa un rifugio dell’anima. Qui, persino i timori dell’ignoto risultano soverchiati dalle molte insicurezze del presente.

La fantasia come bussola

Leggere, chiudere gli occhi e sognare diventa una medicina per lo spirito, un viaggio concesso a tutti, ricordando le parole di Albert Einstein: “La fantasia è più importante della conoscenza” e quelle di Rita Levi Montalcini: “L’immaginazione sa andare oltre il pensiero codificato”.

Perché, come scrisse Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo Principe, “L’essenziale è invisibile agli occhi”.

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