Roma, 22 dic. (askanews) – Il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente il deposito del ricorso per violazione dell’articolo 36 della Costituzione se ha applicato “lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo”. E’ quanto prevede un emendamento alla manovra approvato il Commissione bilancio del Senato e che è quindi entrato nel testo che sarà votato domani in Aula.
L’articolo 36 della Costituzione prevede che il lavoratore “ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
La norma stabilisce quindi che in caso ci condanna del datore di lavoro per violazione di questo articolo non sono dovuti gli arretrati.
Nel dossier dei tecnici del Senato sugli emendamenti alla manovra approvati si ricorda che “alcune sentenze della Corte di cassazione hanno affermato che i contratti collettivi – anche se stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative – devono essere disapplicati dal giudice qualora i trattamenti economici minimi siano inequivocabilmente non conformi ai princìpi di cui al suddetto articolo 36, primo comma, della Costituzione”. E si chiede quindi di valutare l’opportunità “di chiarire, in relazione all’orientamento giurisprudenziale suddetto, la portata giuridica di tali riferimenti”.
L’emendamento ha provocato dure reazioni da parte delle opposizioni e della Cgil.
“Non solo non vogliono il salario minimo e aumentano senza ammetterlo l’età pensionabile, ma privano anche i lavoratori e le lavoratrici delle retribuzioni dovute, cercando di far passare emendamenti nella Manovra che, invece di aumentare tutele e diritti, ne tolgono”. Così Chiara Gribaudo, vicepresidente del Partito Democratico.
“Un nuovo e grave attacco ai diritti dei lavoratori da parte del Governo. Con un emendamento alla legge di Bilancio, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali, si tenta di rendere più difficile la tutela dei salari e il recupero dei crediti retributivi. Zero benefici per i lavoratori, solo attacchi”. Lo afferma, in una nota, la segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli. “Si usa la legge di Bilancio – prosegue la dirigente sindacale – su una materia del tutto estranea alla programmazione economica. E palesemente si interviene contro le recenti sentenze della Corte di cassazione in materia di giusta retribuzione”.
Mentre i Cinquestelle annunciano battaglia: “Hanno infilato nella Manovra, col favore delle tenebre e la confusione dei litigi interni alla maggioranza, una norma vergognosa che calpesta e penalizza i lavoratori sottopagati, che avevamo già stoppato in estate. Con questa decisione di Meloni e soci, un lavoratore non può più avere gli arretrati, anche se un giudice stabilisce che ne ha diritto perché il suo stipendio è troppo basso e viola l’articolo 36 della Costituzione”, dichiara via Fb il presidente M5s Giuseppe Conte, aggiungendo: “Sono gli stessi del no al salario minimo legale e a tutte le nostre proposte per aumentare gli stipendi dei lavoratori e aiutare i cassintegrati davanti al crollo del potere d’acquisto. Sono gli stessi che aumentano i rimborsi a ministri e sottosegretari. Il mondo al contrario. Ci batteremo ancora contro questo ennesimo scempio”. Intanto sale la soglia di esenzione ai fini Isee del valore della prima casa: già innalzata a 91.500 euro nel testo della manovra, viene ora ulteriormente aumentata a 200.000 euro per i nuclei familiari residenti nei comuni capoluogo delle città metropolitane, secondo quanto prevede un emendamento approvato in Commissione bilancio del Senato. La soglia viene ulteriormente incrementata di 2.500 euro per ogni figlio convivente successivo al primo.

