La giacca del Segretario Generale della FIM-CISL è, da un po’ di tempo, tirata da tutte le parti. Il sindacato spera, ovviamente, che il suo capo non ceda alle lusinghe della politica, in particolare a quelle di una vasta area del PD, prevalentemente moderata, che vede il lui l’astro nascente della nuova sinistra, anzi del centrosinistra da rifondare.
A differenza del fuoriclasse madridista, miglior calciatore dei recenti europei, Bentivogli non riceve, però, dalla politica, le stesse promesse che spingono Modric a lasciare il Real. Ciò nonostante sarebbe anche facile per lui irrompere sulla scena politica e raccogliere successi e consensi rapidamente. Schietto, sicuro di sé, sincero e leale è scontato che in questa nostra epoca di carenza di leadership, il suo stile di lavoro ispiri grande ed immediato interesse. Il bisogno che un demiurgo venga a salvare la sinistra con idee straniere, nuove, sorprendenti è oggi largamente presente a sinistra.
Proprio per questo crediamo che il bravissimo sindacalista cattolico faccia la scelta giusta rimanendo alla guida del sindacato.
Il processo di ricostruzione della politica del centrosinistra non può risolversi, infatti, nella semplice ricerca di un leader carismatico, ma richiede una revisione dei propri fondamenti, il riconoscimento di errori ben più antichi di quelli di semplice carente comunicazione, la definizione di programmi di riforma complessi e tuttora neanche avviati, un ripensamento profondo di una forma partito troppo modellata sul terreno della rappresentanza nelle istituzioni.
Soprattutto, richiede la riconquista di spazio perduto dagli stessi corpi intermedi, primo fra tutti proprio il sindacato, per la sua parte preda del corporativismo più acceso, divenuto populismo in un batter d’occhio proprio lì, sul posto di lavoro, dove prima che altrove viene avvertita la crisi economica e dove, storicamente, la cultura del lavoro si avvelena con l’angoscia e la paura cucite sulle tute populiste.
Questo non vuol dire che figure come quella di Bentivogli debbano rimanere separate dalla sfera politica. Il sindacato è il primo soggetto ad avvertire i problemi portati dalla burocratizzazione delle strutture, dalle cinghie di trasmissione, dalla gestione non sempre limpida delle forme cooperative.
Ma soprattutto, il sindacato ha una funzione importante da svolgere nello stesso ambito della democrazia industriale. Per esempio, contrastando l’attuale dissennato, ancorchè per ora solo proclamato, disegno leghista di favorire le piccole imprese rispetto alle medie e alle grandi, attraverso la ricerca di una spaccatura tra la popolazione delle povere ultime e quella privilegiata delle altre.
Marco Bentivogli dice di avere un grosso amico in Cremaschi, un sindacalista non certo dei più moderati in campo CGIL. Noi preferiamo vedere in lui, per le cose che dice con la massima sincerità (per esempio quando contrastava Landini sulla Fiat), il ricordo di Bruno Trentin, quello di “Da sfruttati a produttori” cioè del percorso che dovrebbe portare il mondo del lavoro a pensarsi come classe dirigente e lo stesso sindacato da agente contrattuale a soggetto dello sviluppo. Un percorso che, soprattutto per i limiti del sistema politico, appare interrotto, se non addirittura compromesso. Ma è importante che il progetto riparta, magari superando differenze organizzative e steccati tra le tre confederazioni che oggi possono essere restituite alle normali e produttive differenze di un pluralismo di un’unica confederazione.