Era il 14 ottobre 2004. Mario Luzi ci accoglieva nella sua casa sull’Arno per una conversazione che sarebbe stata trasmessa su Radio Vaticana in occasione dei novant’anni del poeta fiorentino, che avrebbe compiuto dopo qualche giorno. Mostrava di voler restare aggrappato alla vita, pur affaticato, con straordinaria lucidità, ironia, affabilità, umiltà. I suoi occhi vecchi, ma luminosi, sapevano di maestro buono. Pesava ogni parola. «Si può anche ipotizzare una vita felice che non conosce né il dolore né la sofferenza – confidava – però è uno sforzo dell’immaginazione, è un eccesso del sogno. La sofferenza è un pedaggio che dobbiamo pagare per essere presenti nella vita, per essere nell’essere».
Parlava della sua fede, del rapporto tra due dimensioni che si generano reciprocamente: limitatezza dell’essere umano e «infinità» la quale, diceva, «si presenta periodicamente, ci richiama, ci affascina, ci sollecita, ma non ci dà mai delle risposte che possiamo ritenere definitive». Constatava quanto si fossero «aggravate» alcune domande esistenziali: quelle sul male, per esempio, «una presenza tutt’altro che provvisoria nell’universo», ammetteva. «Ho sempre considerato il male il rovescio del bene. Però oggi io, di fronte a certi episodi, penso che il male sia anche fuori dalla responsabilità dell’uomo. Come un’immanenza non ancora debellata».
E il male della guerra? «Quella invece è una volontà si-nistra, una volontà nefasta, sbagliata», scandiva. Chiedevamo quale potesse essere il ruolo della poesia: «Tutto e nulla!». Un vecchio con la tenerezza di un bimbo che ha ancora tutto da imparare: del resto La Dottrina dell’estremo principiante (titolo di un suo testo) esprimeva bene il bisogno di tornare sempre nella condizione di stupirsi di questa vita. «Penso che i drammi a cui assistiamo ci portino a desiderare questa nudità e semplicità. Bisogna rientrare nel vivente, nell’innocenza e nella forza del vivente. Con tutto quello che vediamo di orribile, il vivente è qualcosa che supera tutto».
E la morte, come ci si fa i conti? «La morte si teme da giovani. Poi ci si abitua sia alla vita che alla morte. A un certo punto tutto il mondo che si è vissuto o quasi tutto, tutte le persone, sono già di là dalla siepe».
Fonte – L’Osservatore Romano – Giovedì 27 febbraio 2025.
Titolo originale – «Essere nell’essere» di un vecchio con la tenerezza di un bimbo.