Firenze, 29 ott. (askanews) – Mattarella a tutto campo a Firenze in difesa, uno per uno, dei capisaldi dell’Unione europea: euro, Bce, diritti e democrazia, multilateralismo. Un discorso articolato che il presidente pronuncia al termine della sua giornata fiorentina – iniziata con la visita alla mostra su Beato Angelico a Palazzo Strozzi che, a detta di tutti, l’ha “estasiato” – davanti a una platea molto particolare: il Consiglio direttivo della Bce che per due giorni, sotto la guida della presidente Christine Lagarde, si è riunito sulla sponda dell’Arno, a Palazzo Corsini, per discutere di politica monetaria.
Mattarella prende la parola, dopo che la presidente della Banca centrale europea ne ha tessuto le lodi con argomentazioni così inoppugnabili (“in un momento in cui in tutta Europa la fiducia delle istituzioni è messa alla prova, la fiducia che gli italiani ripongono invece in Lei e nella Presidenza della Repubblica ha continuato a crescere”) che sul volto del Capo dello Stato compare un sorriso quasi imbarazzato. Ma dura un istante perché poi Mattarella pronuncia un discorso in cui difendere l’Ue da tutti i suoi, numerosi, nemici, interni ed esterni, senza però risparmiarle critiche.
L’Unione ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni ma “non sono sufficienti” e l’irrilevanza internazionale “non ce la possiamo permettere”, quindi, dice Mattarella, “occorre ritrovare slancio e coraggio”, quelli che animarono i grandi passaggi istituzionali del processo di integrazione fino all’adozione della moneta unica. Insomma, “è urgente accelerare” e l’Ue ha tutte “le carte in regola” per farcela, visto che “dispone di risorse umane e materiali straordinarie” e “rimane un baluardo della democrazia”. Per questo non può rinunciare al “dovere di contribuire allo sviluppo di un ordine internazionale fondato sulla pace”.
Detto questo, indietro non si torna. Mattarella cita (e difende) uno ad uno gli strumenti e i principi politici che animano e fanno funzionare – non sempre benissimo, ma euro e Bce sono simboli intangibili dell’integrazione – l’Unione. Lo fa in una delle città che più hanno creduto nel sogno europeo, patria di quel Giovanni Spadolini – a cui il presidente ha reso omaggio oggi, a cento anni dalla nascita, con una visita all’omonima Fondazione e biblioteca, sulla collina di Arcetri – europeista di stretta osservanza e alfiere di un’idea illuminista dell’Europa. Lo fa il giorno dopo la visita a Roma del premier ungherese Viktor Orban che, tra un’udienza con il Papa e un incontro a Palazzo Chigi, non ha risparmiato picconate all’Ue che “non conta nulla” sullo scacchiere internazionale. In passato da parte di Orban non sono mancate nemmeno critiche all’euro.
Mattarella riafferma alcuni capisaldi. Innanzitutto la moneta unica che fu “frutto di coraggio e visione”: oggi, dice, “non possono esserci dubbi che quel coraggio e quella visione sono stati premiati” e questo lo sanno i cittadini dei Paesi che hanno aderito che hanno visto “tutelato il potere di acquisto dei loro redditi e dei loro risparmi”. Poi la Bce che ha sempre “assolto il proprio mandato anche in momenti difficili”. E, ancora, il sistema multilaterale che certo andrà adeguato ai tempi che sono cambiati, ma non può essere messo in discussione se si vuole un mondo basato sulla pace e sul rispetto della dignità umana.
Infine, l’omaggio al presidente forse più europeista di tutti, Carlo Azeglio Ciampi. Usa le sue parole Mattarella per dire che permane una “condizione di zoppìa” dell’Unione, ovvero “l’evidente asimmetria tra la moneta unica e una politica economica e fiscale ancora frammentata”. Ed è su questo che si deve lavorare, subito.

