La generazione nata e cresciuta tra le macerie della prima repubblica, nell’epoca degli slogan e del marketing elettorale, storce il naso quando sente la parola “moderazione”, o anzi, peggio, non capisce proprio. Perché non è solo una parola condannata dalla contestazione post ’68 a significare compromesso e conservazione; la sua sfortuna è andata oltre: oggi la si ignora completamente, non la si comprende. La semplificazione sfrenata del messaggio politico, che oggi corre ad una velocità estrema e sproporzionata rispetto a qualsiasi epoca precedente, non lascia tempo per nessuna elaborazione e rimodulazione degli impulsi più immediati e irriflessi da parte del pensiero.
A partire da questa analisi, però, non serve a niente rimpiangere un mondo scomparso, più “moderato” e più saggio, come se si potesse tornare indietro. La storia, l’evoluzione tecnologica e sociale, non può essere arrestata e invertita, insomma, i buoi sono usciti dalla stalla.
Invece, è opportuno chiedersi “in virtù di cosa” si dovrebbe e potrebbe effettivamente essere moderati. Lo si comprende meglio se si ha chiaro il senso profondo della moderazione. Esso non è il compromesso statico dello status quo, il grigiore che oggi circonda ogni istituzione, avvertita ormai come tristemente lontana, tanto da non suscitare neanche più una vera protesta. Anzi, l’equilibrio del “concreto vivente”, direbbe Romano Guardini, è sempre dinamico, “passa”, “oscilla”, mai riposando in un successo immanente presunto come eterno. Questo tipo di moderatismo è drammatico e tutt’altro che conservatore e “grigio”.
Tuttavia, questo senso profondo del perché essere moderati ci sembra che oggi non sia più dato per scontato: la crisi di consensi delle grandi tradizioni politiche è stata anche una crisi di identità. Chi sono i moderati? Che volto hanno? Forse non è fuori luogo porsi queste domande.
Del resto l’identità si costruisce proprio a partire dalle crisi, da un confronto diretto e franco con sé stessi e con i problemi reali. E da tale provvidenziale confronto ne nasce non una facile soluzione, ma una narrazione. Rappresentanza è rappresentazione, narrazione, immaginazione. Solo ripartendo da una visione, da un simbolo (nel senso letterale del termine, cioè “unione”) si genererà la nuova comunità. Il compito che ora si presenta a chi pensa politicamente in questo paese è un compito creativo: disegnare l’immagine della comunità politica che si vuole proporre, un’immagine concreta e vivente, dinamica, ancora in evoluzione.
E’ con questo spirito che vi voglio indicare il documento che segue di Aurelian Craiutu IL RADICALISMO DELLA MODERAZIONE