La “desertificazione” dell’emozioni – scrive Monda – ha prodotto un uomo squilibrato, armato solo della fredda razionalità, ma che ha perso il cuore dell’umanità. Riportiamo per gentile concessione l’editoriale che appare nell’edizione del 25 aprile del giornale ufficioso della Santa Sede.
«Non ridere, non lugere neque detestari sed intelligere», è la famosa frase di Baruch Spinoza, anche facile da tradurre: «Non ridere, non piangere né detestare ma (cerca solo di) capire». Il grande filosofo olandese si riferiva alle “cose umane” che dovevano essere oggetto di comprensione, di intelligenza appunto, a condizione di asciugare però prima l’emotività. Parole molto sagge, ovviamente. Quando sono state pronunciate forse erano anche un grido rivolto ai contemporanei al fine di farli fermare dalla follia dell’incessante guerra che in quei secoli insanguinava l’Europa. Quel grido è diventato una specie di profezia rovesciata nel senso che si è, purtroppo, avverato. L’uomo contemporaneo ha asciugato l’emotività a favore del raziocinio, in questo senso Spinoza appare “padre” dell’Illuminismo, ma in modo così radicale da aver prodotto un deserto. Non sappiamo più ridere né piangere ma abbiamo tutti la pretesa di capire. È il momento storico degli “esperti” e tutto è lasciato alle loro fredde analisi. Le lacrime, di gioia o di dolore, sembrano le grandi assenti.
Sulla crisi del senso dell’umorismo su questo giornale si è già parlato più volte, proprio perché l’umorismo è in realtà una virtù che i cattolici non possono trascurare. Un pensatore come Jacques Maritain avvertiva che «una civiltà che ha perso il senso dell’umorismo si prepara al suo funerale» e tutti gli ultimi pontefici, e Papa Francesco in particolare, hanno spesso parlato della fondamentale importanza per il cristiano del coltivare il buon umore, del saper ridere. «Si conosce un uomo dal modo in cui ride», osservava Dostoevskij ma questo è forse ancora più vero rispetto al pianto: sono proprio le lacrime a rivelare se in un uomo è rimasto qualcosa dell’essere umano. Al contrario del luogo comune, bisogna affermare che un vero uomo piange.
Oggi, dal punto di vista della guerra, la situazione non è molto diversa dal ’600 di Spinoza: il sangue ancora scorre nel cuore dell’Europa. Mancano però le lacrime. Così ha detto il Papa sabato ricevendo in udienza la comunità pastorale del Santuario della Madonna delle Lacrime di Treviglio: «La nostra civiltà, i nostri tempi, hanno perso il senso del pianto». Anche per Francesco, grande lettore del romanziere russo, è il “modo” a essere molto importante: «Io credo che noi, il nostro tempo — parlo in genere —, abbiamo perso l’abitudine di piangere “bene”. Forse piangiamo quando succede qualcosa che ci tocca o quando tagliamo la cipolla. Ma il pianto che viene dal cuore, il pianto vero come quello di Pietro quando si pentì, come quello della Madonna». Maria piange e in genere le donne sanno piangere più degli uomini, hanno il dono delle lacrime. Perché il pianto è un dono, una grazia dice il Papa: «noi dobbiamo chiedere la grazia di piangere davanti alle cose che vediamo, davanti all’uso che si fa dell’umanità, non solo le guerre — ne ho parlato — ma lo scarto, i vecchi scartati, i bambini scartati anche prima di nascere… Tanti drammi di scarto: quel povero che non ha da vivere è scartato; le piazze, le strade piene di persone senza fissa dimora… Le miserie del nostro tempo dovrebbero farci piangere e noi abbiamo bisogno di piangere».
Lugere è ancora necessario. Al “profeta” olandese dell’Illuminismo rispondeva indirettamente lo scrittore inglese Chesterton ribaltando un altro luogo comune: «il pazzo non è colui che ha perso la ragione, ma colui che ha perso tutto tranne la ragione». La “desertificazione” dell’emozioni ha prodotto un uomo squilibrato, armato solo della fredda razionalità, ma che ha perso il cuore dell’umanità. Sempre Chesterton afferma che «sono le fate a custodire la ragione», se si perde l’immaginazione e il sentimento l’uomo, quest’essere così ricco e complesso, rimane come “sfigurato”, e paradossalmente anche incapace di “intelligere”. Durante la conversazione tra il cardinale Tolentino de Mendonca e l’allenatore di calcio Josè Mourinho quest’ultimo ha ricordato una battuta del filosofo portoghese Manuel Sergio: «chi sa tutto di calcio ma solo di calcio, non sa niente di calcio». Soffriamo per eccesso di “esperti” e insieme per difetto di “esperienza”, quella condizione che permette all’uomo di cambiare, di essere (com)mosso, possibilmente fino alle lacrime.