Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Giselda Adornato

Il 25 dicembre 1960, in piazza del Duomo a Milano, intorno al grande albero addobbato, si tiene la manifestazione nazionale del Natale in piazza: migliaia di metalmeccanici, i sindacati dicono centomila, in sciopero da mesi, convergono con le loro famiglie per una manifestazione organizzata dalla Cgil, con l’adesione della sola Uil perché la Cisl ha deciso di non partecipare per non urtare la sensibilità dei cattolici.

Quel Natale di sessant’anni fa chiude un anno problematico in Italia, e basterebbe citare la rivolta contro il governo Tambroni, le proteste a Genova, i morti di Reggio Emilia e tutti i contraccolpi e gli squilibri sociali del “miracolo” economico. In particolare, i lavoratori del settore elettromeccanico sono in lotta e inaugurano un decennio che si chiuderà solo con l’autunno caldo del 1969.

A Milano dunque, dal palco allestito sotto un grande striscione appeso al colonnato della Galleria, parlano i responsabili nazionali del sindacato. Contemporaneamente, nella cattedrale, l’arcivescovo Giovanni Battista Montini celebra il pontificale di Natale; le grandi navate sono gremite. All’omelia, il cardinale esordisce: «Noi siamo soliti a considerare il Natale come una festa piena di soavità e di pace. E così è […]. Ma il Natale, con la sua stessa luce, svela a me una scena di tenebre, profonde e immense quanto il mondo. […] Così che il Natale ci fa pensare al dolore umano». E il presule continua, con parole profonde che scavano fino alla radice il «dramma» della scelta dell’uomo di fronte a Dio, l’allontanamento cosciente e voluto della creatura dal suo Creatore: il peccato, responsabile della sofferenza del mondo. Montini si esprime toto corde: «Sofferenza a causa dell’ingiustizia, dell’egoismo, della cattiveria, dell’ipocrisia, della corruzione, dell’oppressione, che rendono miserabile e triste la vita di chi è colpevole di questi delitti e infelice e grama quella di chi ne soffre le conseguenze». La sua voce vibra: «Sofferenza per la povertà, per l’insufficienza del pane, della casa, del lavoro, della sicurezza sociale, per la stridente sperequazione economica di cui ancora folle di umile gente patiscono. […] Non possiamo oggi essere insensibili alle pene di tanti uomini che Cristo ha reso nostri fratelli e non possiamo godere il Natale con l’anima in pace senza pensare a loro. […] Non si tratta di una semplice eccitazione sentimentale, ma piuttosto di urgenza di carità […]».

Ed ecco infine, nelle parole del cardinale, la sorpresa, quella che nessuno dei presenti si aspetta, e soprattutto nessuna delle migliaia di persone che, fuori dalle magnifiche porte bronzee della cattedrale, manifestano al freddo: «Oggi stesso, questa stessa celebrazione ci sollecita a osservare se per caso vicino a noi fossero fratelli in disagio, fratelli che soffrono. Sì, vi sono vicino a noi. Non possiamo trascurare questa circostanza, anche se importuna, fratelli che soffrono. Siamo tutti stati informati che proprio su la piazza del nostro Duomo è stata indetta a quest’ora stessa una grande manifestazione di lavoratori in sciopero da diverse settimane, non tenendo conto che quest’ora e questo luogo dovrebbero essere sacri alla preghiera e al pacifico concorso del popolo. Se ciò ci può dispiacere e se dobbiamo avere delle riserve su i motivi e su i modi che hanno provocato questa manifestazione, non possiamo tuttavia non compiangere cordialmente le migliaia di famiglie operaie che oggi si trovano nell’indigenza e nell’angustia con l’amarezza nei cuori e con l’ansietà per il loro pane e per il loro lavoro».

L’“arcivescovo dei lavoratori” non può tacere: «Avremmo tanto desiderato che questa festa giungesse a noi con pacifici e onorevoli accordi». E in questo accorato desiderio che alla festa del Natale si arrivasse nella concordia sociale bisogna leggere in filigrana tutta una serie di interventi concreti che Montini ha messo in atto in quegli anni, adoperandosi in decine di vertenze sul lavoro. Senza pubblicità e ostentazione, l’arcivescovo ha incontrato i sindacalisti cristiani e le Acli, ha coinvolto i parroci, ha risposto con rispettosa fermezza alla Confindustria, che è molto polemica con questi sacerdoti delle “cittadelle operaie” che prendono iniziative a favore dei lavoratori e soprattutto contro il loro licenziamento.

Montini è intervenuto nel corso delle vertenze contrattuali delle om , della Pirelli, della Breda, della Dalmine, della Borletti, della Siemens, della Gilera e di molte altre industrie. Lo ha sempre fatto mosso da un atteggiamento di difesa nei confronti dei fratelli che soffrono, con l’attenzione scrupolosa a non invadere competenze altrui e lo stimolo discreto alle due parti — attraverso lettere o udienze — perché non si stancassero di cercare la trattativa, il dialogo. E proprio in occasione della vertenza dei metalmeccanici, il cardinale ha cercato di favorire un arbitrato costruttivo attraverso l’Ufficio diocesano di pastorale sociale e l’Istituto sociale ambrosiano. Luigi Macario, della Segreteria nazionale della Federazione italiana metalmeccanici, lo ringrazia in una lettera. L’anno successivo, il 1961, si stringeranno centinaia di accordi aziendali, con aumenti salariali e riduzione dell’orario di lavoro.

Quella mattina di Natale del 1960 l’arcivescovo così conclude i suoi pensieri per gli operai in lotta (ai quali «L’Unità» si riferirà in prima pagina): «Mandiamo a tutti questi lavoratori il nostro paterno saluto, tutti esortando imprenditori e operai ad affrettare per vie pacifiche e leali la conclusione della incresciosa vertenza, a tutti augurando che il sentimento cristiano e non già il calcolo esclusivo e prevalente dei beni materiali renda più facile la professione della giustizia e della pace. E conceda a noi Cristo questa fortuna».

Altre volte, nelle sue omelie natalizie, Montini mostra la sua attenzione all’attualità, soffermandosi in particolare sull’irrisolta «questione sociale» e la mancanza di giustizia e di pace vere e fondate, con richiami intensi e insieme concreti. Perché la carità è l’impegno alla testimonianza dei cristiani nella storia e quindi le parole diventano forti, epocali; e l’eloquenza supera le indicazioni morali e si manifesta nella sua altissima umanità e spiritualità. I lavoratori sono «figli» posti sotto una singolare protezione del Padre e per questo devono credere che ogni loro esigenza di giustizia può essere soddisfatta dall’insegnamento sociale della Chiesa, l’unico baluardo che li difende senza tradirli: «Il mondo del lavoro, in modo speciale, attende di vedere se la nostra azione sociale è una propaganda di maniera o di comodo, o se invece è uno sforzo reale verso una sua redenzione. Certamente lo sforzo è reale; deve diventare efficace. Efficace innanzi tutto nel dissipare l’enorme malinteso fra lavoro e religione».

Questo l’obiettivo finale, su una strada lunga e tutta in salita; e l’omelia del Natale 1960, che suscita ammirazione in tutta Italia, ne rappresenta un tassello significativo. Sì perché la via privilegiata affinché i lavoratori possano approdare alla fede è ancora la più antica e sosta davanti alla culla di Betlemme. Lì, come esclama Montini il 25 dicembre 1962, nel suo ultimo Natale a Milano, tutti gli uomini del nostro tempo possono trovare l’amore gratuito di Dio che si rivela nel Figlio: «Un amore che ci assedia, che ci assale, che ci tormenta, che ci inebria; un amore, in una parola, che ci vuole».