Natalità e famiglia come interesse generale.

Attorno alla demografia, come evidenzia il testo pubblicato da “Il Mulino” e qui riportato in ampio stralcio, si concentra finalmente l’attenzione di larga parte della pubblica opinione.

Attorno alla demografia, come evidenzia il testo pubblicato da “Il Mulino” e qui riportato in ampio stralcio, si concentra finalmente l’attenzione di larga parte della pubblica opinione. In effetti, natalità e famiglia sono questioni d’interesse generale per il Paese e gli Stati generali della Natalità possono rappresentare un punto si svolta per prendere collettivamente coscienza del grave stato delle cose.

Il 14 maggio scorso sono stati convocati a Roma gli Stati generali della Natalità alla presenza del presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, di tanti rappresentanti
delle istituzioni, della società civile e del mondo delle imprese, e persino di Papa Francesco ( qui il programma).
Nella Francia dell’ancien régime gli Stati generali venivano convocati molto raramente e solo quando incombeva un pericolo tanto grave per il Paese al punto da richiedere una
risposta corale di tutte le classi sociali. Il parallelo è evocativo: il nostro Paese ha certamente ignorato per troppo tempo il pericolo dell’inverno demografico e sta già
subendo pesantemente le conseguenze della denatalità. Ogni eventuale soluzione, se esiste, non potrà che venire da una risposta corale e unitaria del Paese.

La presenza del Papa, inoltre, sottolinea come, pur essendo l’Italia il malato grave, la malattia travalichi i confini del Paese e interessi sostanzialmente tutto l’Occidente (post)cristiano.
I dati della natalità in Italia sono certamente drammatici: nel 2020 sono nati 404.104 bambini, cioè 172.000 in meno rispetto al 2008 (un calo delle nascite del 30%). E questo
dato ancora non considera, se non in maniera del tutto marginale, l’impatto della pandemia sulle nascite che si preannunciano essere in ulteriore calo per il 2021. Le morti nel 2020 hanno invece avvicinato la quota di 750.000; con questi trend rischiamo di chiudere il 2021 con un rapporto di due morti per ogni nato.
Date queste premesse, gli scenari demografici che ci attendono dovrebbero far venire i brividi a tutte le persone minimamente interessate al futuro del Paese. Suggeriamo
l’esercizio (stentiamo a chiamarlo gioco) di prendere il simulatore di popolazione dell’Istituto demografico francese e vedere cosa succede alla popolazione italiana nei
prossimi 50-100 anni con questi dati. Naturalmente sono scenari che non tengono conto delle dinamiche migratorie e neppure di un eventuale ulteriore aumento dell’aspettativa di
vita, ma aiutano ad avere contezza dell’affermazione di Auguste Comte, secondo cui «la demografia è destino»! E il nostro destino assomiglia tanto a una malattia terminale.
Di fronte a questi dati ancora qualcuno – sempre più raramente a dire il vero – fa spallucce affermando che essi in fondo non siano affatto negativi, ma debbano essere visti
nella cornice più generale della demografia e dell’ecologia del pianeta. Rispondere adeguatamente a queste obiezioni ci porterebbe troppo lontano, ma ci basti solo elencare i
costi che già comporta l’inverno demografico per il Paese.

In linea teorica, una popolazione in contrazione implica una sfida finanziaria titanica per il sistema di Welfare di un Paese: ci sono spese di pensioni e di sanità sempre crescenti da caricare sulle spalle di una popolazione in età lavorativa che si va restringendo. E sulle stesse spalle vanno anche caricate le spese fisse che un Paese affronta per mantenere il territorio e tutte le sue infrastrutture: da quelle logistiche a quelle culturali. Anche la capacità di finanziare gli investimenti tramite il ricorso al debito pubblico diminuisce, perché i creditori anticipano che il rimborso del debito diventerà sempre più insostenibile se i futuri contribuenti saranno sempre di meno. La denatalità non colpisce solo l’economia pubblica ma impatta anche la dimensione privata della ricchezza. Si pensi ad esempio al
fatto che quando la maggior parte del risparmio di un Paese è investito negli immobili esso è fortemente esposto ai potenziali cali della domanda abitativa conseguenti a una
riduzione della popolazione. L’invecchiamento e la contrazione demografica comportano anche una riduzione della produttività del lavoro e del tasso di innovatività delle
imprese.

Insomma, un Paese con una popolazione che diminuisce rischia di avere un sistema di Welfare scricchiolante, un debito pubblico esplosivo e sempre a rischio default, una
mole di risparmio significativa che rischia di svanire come neve al sole (il valore quasi nullo degli immobili dei villaggi già interessati dallo spopolamento nelle zone interne del
Paese è l’anteprima di quello che ci aspetta su larga scala), una crescita economica stagnante e un basso tasso di innovazione. Un Paese vecchio e stanco, rancoroso e
senza alcuno sguardo sul futuro. Un Paese che arretra a vista d’occhio rispetto ai Paesi con i quali fino a pochi anni prima si poteva misurare da pari. A qualcuno suona familiare? Qualcuno ancora può contestare che il tema della natalità sia davvero un tema degno della convocazione degli Stati generali del Paese?

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