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martedì, 20 Maggio, 2025
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Nicea 325: il Concilio che cambiò la storia del cristianesimo

Il Figlio — proclamò il Concilio — è “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Una sola parola greca, òμοούσιον, ovvero “stessa sostanza”, racchiudeva l’intero verdetto: Gesù Cristo è vero Dio.

È nel maggio del 325 d.C., nella città di Nicea, in Bitinia (oggi İznik, Turchia), che si tenne un evento destinato a segnare un punto di svolta nella storia del cristianesimo e dell’Occidente: il primo Concilio ecumenico della Chiesa. Convocato dall’imperatore Costantino, il Concilio aveva un obiettivo ambizioso — risolvere una disputa teologica che rischiava di dividere la relativamente giovane comunità cristiana, da poco uscita dalla clandestinità.

Le cronache del tempo, come quelle di Eusebio di Cesarea, ci restituiscono un’immagine potente dei padri conciliari: molti di loro portavano sul corpo i segni delle persecuzioni appena finite (grazie a Costantino). Erano vescovi, presbiteri e teologi sopravvissuti alle torture e alle condanne inflitte durante i secoli di ostilità imperiali. Mutilazioni, cicatrici, arti amputati: i loro corpi raccontavano la fedeltà a una fede che ora si ritrovava sotto i riflettori del potere imperiale.

Al centro del dibattito c’era una questione esplosiva: chi è veramente Gesù Cristo? Per Ario, un presbitero di Alessandria, il Figlio era una creatura, per quanto sublime, ma non Dio in senso pieno. Una visione che faceva tremare le fondamenta della dottrina cristiana: se Cristo non è Dio, può davvero salvare l’umanità? La tensione era altissima.

Costantino intuì la portata della crisi. E per la prima volta un imperatore romano si dispose a convocare un’assemblea di vescovi da tutto l’Impero, oltre 300 partecipanti, per discutere e decidere insieme.

Dopo settimane di confronti, pressioni e preghiere, il Concilio prese una decisione destinata a diventare dogma. Il Figlio — proclamò il Credo di Nicea — è “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Una sola parola greca, òμοούσιον, ovvero “stessa sostanza”, racchiudeva l’intero verdetto: Gesù Cristo è vero Dio, non inferiore né subordinato.

Ario fu condannato come eretico e le sue tesi escluse dalla dottrina ufficiale. Tuttavia il suo pensiero non scomparve: nei decenni successivi continuò ad affascinare vescovi, imperatori e intere popolazioni, soprattutto tra i popoli germanici. La battaglia per l’ortodossia era appena cominciata.

Il Concilio di Nicea non fu solo un dibattito dottrinale: fu anche un momento di svolta istituzionale. Per la prima volta, la Chiesa si trovava a definire se stessa in stretta collaborazione con l’autorità imperiale. Iniziava così una lunga e complessa relazione tra “trono e altare”, che avrebbe plasmato la storia europea (ed extra europea) per secoli.

Tra l’altro, il Concilio stabilì la data unificata della Pasqua e varò norme disciplinari per vescovi e clero. Ma ciò che lo rese davvero storico fu la sua capacità di offrire una visione unitaria della fede, in un’epoca segnata ancora da frammentazioni e incertezze nel popolo dei fedeli.

Il Credo niceno, completato oltre mezzo secolo dopo a Costantinopoli (382), resta al cuore della dottrina: la domenica è recitato da tutti i cristiani del mondo. In effetti, fu proprio il Concilio di Costantinopoli, convocato dall’imperatore Teodosio I, a chiarire in modo definitivo il dogma della Trinità, affermando la piena divinità dello Spirito Santo. Questa formula di fede è quindi diventata il fondamento dottrinale condiviso dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e da molte confessioni protestanti.

A distanza di 1700 anni, il Concilio di Nicea resta anche il simbolo di come fede pensiero e politica possano intrecciarsi e, preservando  l’autonomia della chiesa, disegnare il volto di una civiltà. E di come, a volte, una parola — òμοούσιον — possa costituire uno spartiacque e riorientare il cammino dell’umanità.