In un tempo dominato da messaggi istantanei, emoji e scroll compulsivo, sorprende e quasi commuove il dato rilanciato l’altro ieri dall’Osservatore Romano: ogni giorno arrivano in Vaticano circa cento chili di corrispondenza destinati a Papa Leone XIV. Lo ha reso noto Poste Italiane, descrivendo l’intensa attività del centro di smistamento presso l’aeroporto di Roma-Fiumicino, dove si raccoglie il materiale proveniente dai cinque continenti.
Cento chili di lettere, ogni giorno. C’è in questo flusso silenzioso un segno tangibile di un bisogno che resiste: il bisogno di scrivere, di raccontarsi, di affidarsi a qualcuno che ascolta. In un’epoca in cui prevalgono comunicazioni fugaci e interlocutori distratti, migliaia di persone scelgono ancora carta e penna – o una tastiera – per rivolgersi al Papa. Non per ottenere una risposta immediata, ma perché lo percepiscono come un interlocutore autentico, capace di ascolto profondo.
Scrivere a Papa Leone XIV diventa così un atto di fiducia. Non si cerca un riflettore o una replica automatica, ma la certezza che quelle parole possano trovare accoglienza. Che non andranno perse, che non verranno liquidate con un clic. È un gesto che ha il sapore della cura e della dignità. Una comunicazione che non consuma, ma costruisce.
Il Pontefice, in questo senso, rappresenta qualcosa di raro: un punto di ascolto stabile in un mondo instabile, una presenza che non si sottrae, anche se fisicamente distante. E quelle lettere – spesso scritte da mani stanche, da cuori feriti o da anime in cerca – testimoniano che esiste ancora una forma di comunicazione che non si esaurisce nel tempo di una schermata. È la comunicazione della speranza, del bisogno di relazione, della ricerca di senso.
La posta indirizzata al Papa è una forma di resistenza culturale e spirituale. Non si scrive a un sistema o ad un algoritmo, ma a una persona che, pur con il peso di un compito immenso, si mostra vicino. E questo gesto – prendere tempo per scrivere – dice molto anche su chi siamo, e su ciò che ci manca.
Probabilmente non sappiamo più nemmeno come si spedisce una lettera, e il gesto stesso di impugnare una penna ci sfugge. Ma finché ci sarà qualcuno che scrive al Papa, potremo continuare a credere che l’umanità non ha smesso di cercare un dialogo vero.
E forse, nel fondo di ogni busta, si nasconde una richiesta silenziosa: essere visti, essere ascoltati, essere accolti. E in questo, la parola scritta si fa ancora preghiera.