Articolo già apparso sulle pagine di Servire l’Italia
Il grande imprenditore Adriano Olivetti un giorno disse: “L’impresa non è solo un luogo di
produzione, ma è anche il motore principale dello sviluppo economico-sociale, e come tale ha delle responsabilità verso la collettività e il territorio”.
Olivetti, scomparso prematuramente nel 1960, ha svolto un lavoro straordinario con la sua
azienda per dimostrare questa fondamentale verità. Purtroppo il suo esempio non è stato seguitoné dalle grandi imprese, né dalle politiche economiche di decine di governi. Ai sindacati Olivetti non piaceva, perché era riuscito a creare un clima aziendale talmente “pacifico” e produttivo che i lavoratori non sentirono il bisogno di “proteggersi”. Il “welfare” interno ideato da Olivetti era talmente innovativo ed efficace che non c’era alcun bisogno di aderire a un sindacato. Se la Fiat e le altre grandi imprese avessero seguito quel modello, l’Italia non sarebbe stata colpita da quella “confusione e barbarie” profetizzata da Leone XIII nella Rerum novarum, se non fosse stata conclusa una stretta alleanza tra lavoratori e imprenditori.
Non è stato così creato quel capitalismo socialmente responsabile per il quale si batté sempre don Sturzo. In un discorso pronunciato al Senato il 20 febbraio 1954, egli disse: “Sarebbe grave colpa continuare a seguire la spinta di coloro che, sopprimendo il rischio, vogliono trasformare la responsabilità economica (che stimola all’efficienza) in responsabilità politica (che non funziona quasi mai). Non si può sopprimere il rischio da nessun settore della vita umana. Dio stesso volle darci la libertà, con il rischio di farci prendere la strada sbagliata invece della giusta. Ma l’orientamento attuale consiste nel riversare sullo Stato il rischio individuale. Arriveremo a essere quasi tutti impiegati statali
e tutti pensionati statali. Quel giorno, se venisse, non esisterebbe più una nazione di responsabili, ma un gregge di irresponsabili. (…)
Mi si domanda se ciò possa dirsi ‘sociale’ (ossia se è ‘sociale’ il rispetto dell’iniziativa privata, della responsabilità individuale, della cultura del rischio). Rispondo: è il solo sistema che indurrà la comunità ad affrontare i problemi che assillano il vivere in comune, perché concorrerà a elevare il tenore di vita e farà trovare i mezzi atti a risolvere i problemi sociali”.
Gli attuali guai economici e sociali dell’Italia risalgono a questo errore, che la Germania non fece grazie alla politica illuminata di Adenauer e alla “conversione” dei socialisti tedeschi (congresso di Bad Godesberg del 1959 che sconfessò il marxismo e portò il partito verso i valori e i principi dell’economia sociale di mercato). Il capitalismo italiano è stato così caratterizzato da un forte “inquinamento” del potere politico nell’economia che ha favorito lo sviluppo della corruzione a tutti i livelli, pubblici e privati. Ma grande è stata la responsabilità dei poteri forti dell’industria italiana che non hanno creato l’ambiente culturale adatto per far capire quale fosse la vera funzione sociale dell’impresa e come fosse fondamentale una politica economica, che ponesse al centro la difesa e lo sviluppo dell’iniziativa privata. La persona, senza la presenza al centro anche dell’impresa, è indifesa.
Un programma di governo che non favorisce o, peggio, non rispetta questa verità è sempre
destinato a fallire.