La lettera, qui riprodotta integralmente per gentile concessione dell’autore, è apparsa domenica scorsa sulla pagina dei commenti del quotidiano torinese. “Il racconto dell’infinità democristiana, dice Follini, non aiuti a capire”.

Caro direttore, la rielezione di Mattarella (a suo tempo un democristiano assai critico e quasi “atipico”) sarà accompagnata quasi inesorabilmente da un elogio postumo della saggezza della Dc. Elogio di cui chi come me è stato democristiano si compiace, ovviamente. Con il dubbio però che l’argomento non sia poi così attuale, e che la sua continua evocazione non serva a spiegare l’eternità degli schemi della politica italiana.

Questo ritornello infatti si ripete ogni volta con una sorta di monotonia. È democristiana ogni mediazione, lo è ogni compromesso. Ma è democristiana anche ogni disinvoltura, ogni manovra, ogni flessibilità. La pazienza, ma anche la furbizia, il culto dell’attesa e la destrezza della mossa. Tutto gettato alla rinfusa nello stesso calderone. Vengono iscritti d’ufficio allo scudo crociato leader che provengono dai suoi antipodi. E se poi qualcuno invece viene proprio da lì, ogni suo gesto, ogni tratto del suo carattere suona conferma di una tradizione politica quasi secolare.

Io penso invece che questo racconto dell’infinità democristiana non aiuti a capire. Né, forse, a migliorare. Il paese, certo, ha un gran bisogno di ricostruire legami, cuciture, punti di incontro. Tutte cose che fanno parte della storia democristiana, e della sua cultura politica. Ma la Dc a suo tempo fu anche una forza controversa, capace a suo modo di compiere scelte che non sempre erano così comode, né così compiacenti. Contò le sue vittorie e le sue sconfitte, non solo gli infiniti pareggi a cui la dispose la sua attitudine a mediare tutte le volte che era possibile. Fu, nel bene e nel male, una politica – non solo un metodo, né solo un costume.

Ma soprattutto la Dc appartenne a pieno titolo al suo tempo. E quel tempo fu assai particolare. Cosa che magari alcuni di noi ricordano quasi con nostalgia ed altri invece con senso assai più critico. Ma che non autorizza più nessuno a leggere le controversie di oggi con le categorie di ieri (e di ieri l’altro, a questo punto).

Il tema dei nostri giorni è come tentare di unificare il paese intorno alle istituzioni. E dunque, quanto di quelle istituzioni debba essere cambiato per rimetterci al passo coi tempi. Questo tema richiede, appunto, pazienza, mediazione, capacità di compromesso. Richiede di abbassare le bandiere di parte, per quanto si può. Richiede di cercare dei tratti comuni tra le forze in campo. Tutte cose che sono alla portata delle “culture” dei nostri giorni, senza bisogno di fare ogni volta ricorso alla saggezza e alla temperanza (o, al contrario, alla disinvolta capacità di manovra) di noi democristiani, vecchi o nuovi che siamo.   

Avverto una sorta di pigrizia nell’etichettare alla voce “dc” ogni omaggio e ogni critica che si rivolge alla politica di ieri nel tentativo di decifrare la politica di oggi. Nel frattempo, il paese ha cambiato in profondità il suo modo di ragionare in pubblico. E questa che abbiamo davanti è, appunto, tutta un’altra storia. Una pagina bianca, per dirla con il presidente Mattarella.