All’inizio ti immaginavo con i capelli neri e la barba, una mezza specie di Che Guevara radicale, la voce calda e ampia di un rivoluzionario. Poi ti ho conosciuto, a casa di una tua collega, e ho capito che non c’avevo capito niente.
Mi sono presentato come quello che aveva un blog con una rubrica: “la bordata di Bordin”, in cui riproponevo per iscritto alcune tue battute fulminanti. e tu mi dicesti: “ah sei tu!!”. Poi non ci siamo più tanto visti. Mi sono nati i figli e il tempo scarseggiava ma uno, il primo, ad un anno e mezzo l’ho portato alla presentazione del libro di Mattia Diletti dove c’eri anche tu. Ti chiamava Boddini.
Mi sono rimaste le rassegne stampa, tra la colazione da preparare e le urla mattutine della moglie che ti voleva sempre “spegnere” perché non sopporta le “voci di sottofondo”. Ma la tua non era una voce di sottofondo, poteva essere si cavernosa, ma si imponeva all’ascolto, calda e intelligente, di una intelligenza ed ironia che pure i bambini coglievano, ridendo di gusto quando ti scattava una parola di turpiloquio. Eri una voce familiare e insieme alta, intellettuale, colta.
Un radicale senza settarismi o culti della personalità. Una miniera di memoria politica e giudiziaria. Si potrebbe fare uno spettacolo teatrale, con le tue infinite chiose ai protagonisti e comprimari della politica. Sei stato un maestro di libertà di pensiero ma anche un operatore di servizio pubblico, perché tale era la Tua rassegna Stampa di Radio Radicale. Un servizio pubblico vero, che non è tale perché equidistante. ma è tale perché è autentico. Umano, troppo umano. Come te e le tue sigarette.
Addio Massimo Bordin, P.S. Certo proprio adesso te ne dovevi andare, adesso che il Servizio pubblico di cui per anni sei stato direttore sta per essere liquidato da una banda di ignoranti e cialtroni. Ma non potevi aspettare un altro po’, e li avremmo sbertucciati insieme!
[Dal profilo Fb dell’autore]