Ci pare doveroso dare il nostro contributo alla discussione sugli sviluppi possibili dell’iniziativa assunta da Stefano Zamagni e dai molti sottoscrittori – noi compresi – del suo Manifesto.

Abbiamo appreso la diversità delle posizioni dentro il mondo che a vario titolo e con varie modalità si riconosce nello spazio pregevole del Domaniditalia.

Non abbiamo certezze assolute. Ogni scelta, in un contesto come quello attuale, comporta rischi e incognite non di poco conto. L’esperienza degli anni che ci stanno alle spalle lo dimostra.

Tuttavia, ci pare che il tentativo di individuare uno sbocco politico alle tante riflessioni che da mesi connotano un parte importante del nostro mondo di riferimento culturale sia da incoraggiare.

Con generosità e con vigile prudenza.

La generosità deve consistere nella sincera e operosa volontà di trovare un terreno comune e nel leale convincimento di non coltivare altre finalità tattiche o strategiche. Come ad esempio quella di una “adesione” a movimenti o partiti politici attualmente esistenti.

C’è un vuoto di rappresentanza politica che va colmato. E va colmato con una iniziativa nuova. Nell’interesse della democrazia e del Paese.

La vigile prudenza (anche in base, come accennato, alle esperienze nate ed abortite negli ultimi anni) consiste per noi nella fissazione di cinque paletti non eludibili di chiarezza politica e metodologica.

Il primo. Abbiamo bisogno di un “soggetto politico organizzato” che esprima una identità di cultura politica riferita al Popolarismo di ispirazione cristiana.

Esso non deve e non può essere immaginato in chiave anche solo indirettamente confessionale. Deve collocarsi nel filone consolidato della laicità dell’impegno politico.

La questione – su questo piano – non è quella della presenza in politica “dei cattolici”, ma quella del recupero innovativo e rigenerato di una cultura politica e di un baricentro per la Nazione.

Il secondo. Questo “soggetto politico” non deve pensarsi ora come un “partito” autosufficiente.

Se un politica senza identità oggi rischia di banalizzare il suo ruolo, diventando pura espressione del potere e della sua gestione, per contro una politica giocata solo sulla identità rischia di essere fuori dalla storia, confinata in uno spazio marginale e residuale.

C’è un grande bisogno di “soggetti politici identitari” (che abitano la comunità e ne organizzano le speranze) ma c’è, nello stesso tempo, grande bisogno di “partiti” che valorizzino queste identità dentro robuste ed autorevoli proposte elettorali e di progetto.

La proposta elettorale e di progetto che oggi manca in Italia è quella di un “centro trasformatore della società”, che rianimi la democrazia rappresentativa con una concezione “comunitaria”; ridia senso e valore all Politica ed alle Istituzioni; rimetta al centro le persone, le Autonomie Locali, il Volontariato ed il Terzo Settore, i Beni Comuni; sia capace di guidare la transizione digitale ed ecologica; sappia rilanciare lo sviluppo economico secondo una logica che non si appiattisca solo sul Mercato e sullo Stato; rilanci l’idea europeistica.

Un “soggetto politico” di matrice popolare e di ispirazione cristiana è fondamentale in questo progetto. Ma deve nascere sentendosi “parte” di un “(bari)centro nuovo”, vasto e plurale: quello che oggi manca nel nostro Paese.

E deve puntare a essere partecipe attivo e protagonista non solo di un superamento in positivo  delle tante bandierine – spesso legate ad una leadership personale – oggi in campo, ma di un “progetto aperto e comune” che valorizzi disponibilità importanti di persone che avvertono la necessità di “spendersi” per il rinnovamento (o la ricostruzione) della Politica: citiamo per tutti Marco Bentivogli.

Il terzo. È giusto prendere atto che la stagione del bipolarismo così come la abbiamo conosciuta e vissuta, comunque la si valuti, è giunta al termine.

Tuttavia ciò non vuol dire disconoscere il senso del conflitto politico intorno all’idea di democrazia e di società che continua, seppur in forme diverse. E non vuole dire disconoscere le differenze, anche sul piano dei rischi per la democrazia, delle diverse proposte in campo.

Autonomia politica non significa “neutralità” di fronte agli altri attori politici.

Noi pensiamo che sia fondamentale ribadire un “confine” verso il populismo del M5S” ma anche un “confine a destra”.

Lo aveva sancito Degasperi al tempo della DC, deve essere vieppiù ribadito oggi, a fronte di una destra sovranista, anti europeista, nazionalista e agitatrice di tutti i disvalori che rischiano di disgregare le nostre comunità. Una destra che usa in modo spesso blasfemo i simboli della religione per stimolare tutto ciò che allontana il popolo da quella idea di “fratellanza” e di “nuovo umanesimo” alla quale esorta tutti Papa Francesco.

Il quarto. Occorre uno sforzo di novità nel linguaggio e nella classe dirigente.

Su questo serve una radicalitá esigente. Troppe volte nel corso degli ultimi decenni l’idea di una rigenerazione del “centro” è stata mortificata dal protagonismo di spezzoni consumati e privi di credibilità di vecchia classe dirigente.

Il quinto. Non possiamo pensare ad una iniziativa centralista. Ciò che serve – sia per il soggetto identitario sia per quello che auspichiamo nasca come strumento politico-elettorale vasto e plurale interprete del “centro trasformatore” – è un progetto di federazione nazionale di realtà e di esperienze sociali, civiche e territoriali. È questa la vera alternativa ai partiti personali e la sola strada per la ricostruzione di un tessuto di condivisione e di partecipazione alla nuova politica.

In conclusione, nel ribadire la nostra personale disponibilità a lavorare con sincera convinzione al progetto che trova origine nel Manifesto Zamagni, rivolgiamo un appello a tutte le amiche e a tutti gli amici del nostro variegato mondo a non sciupare questa occasione.

Certo, serve chiarezza (e noi abbiamo voluto indicare con lealtà il nostro punto di vista) ma serve anche generosità di impegno comune. Dobbiamo provarci, almeno. Male comunque non potrà fare e – sopratutto – senza un tentativo serio di questo tipo, anche il nostro ragionare tra di noi rischia di diventare improduttivo e auto referenziale.