Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota di Ettore Bonalberti come contributo al dibattito sulla ricomposizione dell’area democristiana.
Matteo Renzi ha svolto il suo compitino da Bruno Vespa, l’altroieri sera a Porta a Porta. Risultato: continua la doccia scozzese sul governo Conte e parte il rilancio di una vecchia tesi di Mariotto Segni: l’elezione diretta del premier, sul modello di quella dei sindaci.
Immediata la risposta negativa di Salvini che sa bene come sarebbe difficile per lui, in quel caso, prevalere. Del tutto impervia, poi, quella strada, sarebbe anche per il giovane leader di “Italia Viva”, molto più attrattivo per la sua pattuglia di transumanti parlamentari che per la più ampia platea degli elettori.
La proposta di modifica costituzionale indicata, oltre a tutto, richiederebbe tempi talmente lunghi, di fatto incompatibili con quelli che il presidente Conte si augura per la sua compagine in costante surplace, ossia, fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023.
Sino a oggi è rimasta ferma anche l’idea di dar vita a un gruppo parlamentare di centro interessato a far sopravvivere Conte, foriero di possibili evoluzioni dello scenario politico italiano. Un progetto al quale anche molti DC e popolari sarebbero interessati.
I due processi politici più rilevanti nell’area vasta del cattolicesimo politico democratico e cristiano sociale sono quelli dell’avviata Federazione popolare dei DC, che vede come protagonisti gli amici Gargani, Cesa, Rotondi, Grassi, Tassone e Paola Binetti con i responsabili di oltre quaranta associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica, e degli amici che hanno condiviso “il manifesto Zamagni”, tra i quali, quelli già facenti parte del PD, oggi riuniti nella “Rete Bianca”, coordinata dall’amico Lucio D’Ubaldo.
Sulle colonne de “Il Domani d’Italia” è aperto il confronto tra queste due aree, con gli amici del “manifesto Zamagni” che continuano a esprimere una pregiudiziale di schieramento nei confronti della Federazione popolare DC attraverso la riproposizione del loro riferimento degasperiano al “partito di centro che muove verso sinistra”.
A parte l’evidente contraddizione di questi amici che, proprio sulla base dell’infelice esperienza vissuta prima nel PD, hanno deciso di uscire da quel partito, avendo patito sulla propria pelle la condizione di assoluta irrilevanza in quell’ambito; amici che hanno, poi, ricevuto la controprova nelle recenti elezioni regionali emiliano romagnole, come ha immediatamente sottolineato il prof Zamagni, dopo quel voto e l’elezione della nuova giunta Bonaccini, con la sua intervista del 16 Febbraio a “ Il resto del Carlino”-
Il prof. Zamagni, dopo quell’infelice esperienza, propone ai cattolici nel 2021 di “correre da soli”. Replicare come fa la redazione de “Il Domani d’Italia” a Zamagni, liquidando quell’intervista come “uno sconfinamento nell’improvvisazione”, a me pare sia la conferma semmai della posizione contraddittoria degli amici della rivista.
Vorrei fare alcune domande all’amico D’Ubaldo, sperando che ci consentano di chiarire meglio le nostre rispettive posizioni e aprirci a un confronto che possa favorire il processo di ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale che, credo, sia negli obiettivi reciproci.
Con due precedenti note: la “Lettera agli amici del Manifesto Zamagni” del 23 Gennaio scorso, senza risposta, e “Commento a una nota di Lucio D’Ubaldo” del 27 Gennaio correttamente riportata dalla rivista, avevo indicato alcune proposte di programma sulle quali ritenevo e ritengo fosse e sia prioritario confrontarci, prima di anteporre le questioni di schieramento come pregiudiziali, considerato, poi, che su queste, è ben netta da parte della Federazione popolare la posizione di alternativa alla deriva nazionalista e populista a trazione salviniana-meloniana.
Come ho avuto modo di chiarire con l’amico Giorgio Merlo, che nella sua ultima nota pubblicata sulla rivista sembra riaprire un discorso rivolto soprattutto agli amici del Partito Democratico: “Nessuno di noi è tanto sciocco dal pensare di riproporre la DC (fatto ovviamente storico compiuto e non riproducibile come un qualsiasi artifatto) e come ho avuto modo di esprimere più volte, non è un sentimento nostalgico che guida la nostra iniziativa, ma la consapevolezza che tra la deriva nazionalista a dominanza salviniana e una sinistra che ha perduto ogni identità culturale, nell’età della globalizzazione è solo dal popolarismo, ossia da una cultura politica ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, che può venire l’indicazione di valori e principi in grado di offrire una nuova speranza al terzo stato produttivo e ai ceti popolari. Questa è semmai la funzione storica del partito dei cattolici democratici e cristiano sociali, ossia, proprio quella di aver saputo saldare gli interessi e i valori di questi ceti sociali e popolari.
Mi auguro che anche voi della “Rete Bianca”, come ho ribadito a Merlo, non vogliate liquidare il nostro tentativo, che pone fine a una lunga e suicida stagione della diaspora DC, a una mera operazione nostalgica di un progetto senza futuro. A partire dalle prossime elezioni regionali e locali noi presenteremo liste unitarie in ciascuna sede interessata e verificheremo con una rinnovata classe dirigente, se esiste ancora uno spazio politico per un partito di centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità.
Prima ricostruiamo insieme un centro credibile di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale, espressione della migliore cultura del popolarismo. Insomma, prima confrontiamoci sui contenuti di programma attorno a tre grandi questioni del nostro tempo: quella antropologica, quella ambientale e quella relativa alla sovranità monetaria e popolare, da cui deriva il discorso sul nostro modo di restare nell’Unione europea nell’età della globalizzazione. Ci sono proposte, su tutti e tre i versanti, analiticamente evidenziate nella mia lettera del 23 Gennaio scorso. Dunque, solo dopo discuteremo di alleanze che si faranno con quanti giudicheremo più omogeni ai nostri valori e agli interessi da noi rappresentati.
Continuare con la formula pregiudiziale, “vecchia e stantia”, del “partito di centro che muove verso sinistra”, non ci aiuta a far passi avanti nel comune e nobile tentativo di riportare il popolarismo sulla scena politica italiana, dopo la lunga, tormentata, disastrosa stagione della diaspora.