Uno degli errori che indeboliscono o annullano il valore dell’iniziativa di Leoluca Orlando contro il decreto sicurezza sta nel suo debordare da una linea di apertura e coinvolgimento di forze esterne alla sinistra, ma nondimeno estranee al delirio del sovranismo salviniano.
A misura del fatto che un certo antisalvinismo parli a se stesso, alla sua enclave, al suo mondo di riferimento, c’è la semplice registrazione di come altri sindaci abbiano preso le distanze dal gesto polemico – anch’esso di marca populista – del primo cittadino di Palermo proprio in nome e in virtù del rispetto delle leggi della Repubblica, anche quando esse cozzano con i principi dell’umanesimo democratico.
Un’azione condotta con più discernimento avrebbe aggregato una maggioranza reale, portando facilmente l’Anci su posizioni di critica responsabile e costruttiva, con il necessario prestigio. Invece nella casa dei Comuni italiani si consuma una lacerazione preoccupante. Oggi a Roma, nel Direttivo dell’Associazione, si vedrà quale possa essere la formula per ritrovare una base unitaria nel confronto con il governo.
Si tratta di saldare attorno alla constatazione di quanto il decreto funzioni male, mettendo in difficoltà le amministrazioni locali, per sperare nel risultato di una sua possibile revisione. Bisogna scegliere: o fare della sicurezza il terreno di scontro, per dare all’opposizione un effimero vantaggio di tipo morale, o scegliere il pragmatico confronto sulle cose per disinnescare la pretesa di un’Italia mestamente aggiocata al predominio del populismo.
Non è Orlando il paladino di questo rilancio politico.