Dacci oggi il nostro orrore quotidiano. E’ questa frase esteticamente blasfema che riecheggia alle nostre orecchie quando, senza volerlo, veniamo a contatto con notizie che riguardano la quotidianità del nostro mondo. Una quotidianità malsana, orrorifica, ributtante, in cui le madri diventano assassine, i padri dei killer, gli educatori dei molestatori, ed in cui tutti coloro che sono attorno si comportano come assenti: dei veri e propri zombi. Fantasmi, vampiri, orchi e licantropi sono gli archetipi del nostro mondo. Tuttavia, essi non sono soltanto personaggi frutto della mente di qualche scrittore ottocentesco.
Essi sono i simboli della realtà, in un mondo in cui c’è il bene e c’è il male, in cui non possiamo crescere nella convinzione, anzi, nell’illusione, di trovarci in un’isola felice. Il male trova sempre una strada ma, come esso, anche il bene. Siamo ancora immersi nella “Giornata della memoria” in cui ripensiamo all’immane tragedia dell’Olocausto ed a tutte le sofferenze che gli Ebrei e altre minoranze subirono a causa del regime nazista. Spesso e volentieri non permettiamo ai più giovani di entrare a contatto con la letteratura o il cinema horror. Eppure autori di libri quali Bram Stoker e Mary Shelley, o registi come Dario Argento e Ruggero Deodato, hanno riportato all’attenzione delle masse quella che potremmo definire come “estetica d’orrore”, una qualità insita nell’arte, anche del genere horror, ma che, a volte, è più utile di altri generi perché sprona emotivamente all’attenzione. Dunque, permette allo spettatore/lettore di prestare attenzione ai significati, se ve ne sono. Pensiamo a come Pasolini nel suo “Salò o le 120 giornate di Sodoma” del 1975 anticipò, senza volerlo, gli orrori di Guantanamo raccontati dal film “Taxi to the Dark Side” di Alex Gibney nel 2007.
Ecco che il genere artistico dell’horror assume un tratto nobilitante, oseremmo dire di denuncia sociale e politica, oltre lo scopo del mero intrattenimento. In questa narrazione, che assume un fine pedagogico, Bram Stoker nel suo “Dracula” descrisse lo sfruttamento dei contadini sfruttati (vampirizzati) dalla nobiltà rurale, mentre Mary Shelley riportò nella modernità l’antico mito prometeico. Un Prometeo un po’ deludente, considerando che il collage anatomico che visse in Frankenstein era una denuncia contro l’onnipotenza di quella scienza che, senza più una morale, a causa del suo superomismo avrebbe prodotto soltanto dei mostri. Pensiamo a quanto furono anticipatori gli autori ottocenteschi del genere horror che videro, nella tecnologia, nella competitività, nel mito della competenza, della perfezione e del progresso, quel pendio scivoloso che avrebbe portato l’uomo a dimenticare la sua umanità e barattarla con la competitività; tali saranno le giustificazioni del nazismo per imporre l’eutanasia dei più deboli.
Un orrore politico, sociale, medico e reale. Per aiutarci a “non dimenticare” un plauso va fatto a tutti coloro che lavorano in tale senso; un plauso va fatto a “Officina d’Arte OutOut” nella persona di Claudio Miani e dei suoi collaboratori che, in Roma, attraverso il marchio editoriale “Asylum Press Editor” in queste settimane assieme a grandi nomi del settore hanno concluso un grande progetto di divulgazione e critica letteraria che si innesta in questo contesto di estetica e di critica sociale. Insomma, ben venga il cinema, la letteratura, anche d’orrore, quando vengono trattati con competenza, poiché anch’essi ci fanno pensare.
E l’uomo che pensa riflette. Non a caso i grandi mistici e santi del nostro tempo, ci vien alla mente Filippo Neri, non avevano paura di incontrare il diavolo. Essi sapevano che quell’incontro sarebbe stato un passaggio nel loro cammino di santità. Quel buio che, illuminato dalla luce, si assottiglia, facendo intravedere la vera essenza della persona. Le persone, noi, siamo come delle finestre. Delle finestre sul mondo. Come tali, abbiamo un vetro che scintilla dinanzi al sole, ma che quando scende l’oscurità rivela la bellezza soltanto quando c’è una luce dietro.