La guerriglia urbana nella notte a Napoli è un segno che si sta allargando il divario tra Paese legale e Paese reale. Sul “Corriere della Sera” di qualche giorno fa, Walter Veltroni ricordava il film Todo Modo di Elio Petri, in una stagione (1976) in cui il cinema italiano cercava ancora di interrogarsi sul futuro del Paese. La vicenda narrata è nota. Durante una misteriosa epidemia (un Covid ante litteram), in un albergo post-moderno chiamato Zafer arrivano numerosi capi politici, grandi industriali, banchieri e dirigenti d’azienda. Si ritrovano per il consueto ritiro quaresimale, ispirato agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola. Il rito è officiato da don Gaetano, un sacerdote molto influente, la cui statura domina tutti i presenti.

All’interno di questo luogo, in realtà, dovrebbe avvenire anche una sorta di “esame di coscienza” del partito di governo, della propria struttura, dei propri vertici, delle vere priorità per il Paese.

Oggi ci troviamo, più o meno, nella stessa condizione. Il serbatoio di pazienza, tenacia e resilienza accumulato a marzo, si è in buona parte esaurito. Nessuno crede più davvero che “andrà tutto bene”. Lo Stato moderno, il Welfare State, è in affanno un po’ ovunque in Europa, perfino in Germania. Eppure non si sente mai discutere di questo. I ministri del Governo, lungi dal raggiungere una “concordia istituzionale” che in questo periodo sarebbe auspicabile, litigano su tutto. Di fronte all’emergenza che stiamo affrontando, continuiamo ad assistere a un confuso e persistente conflitto  istituzionale e a uno scarico di responsabilità politiche. Eppure ci sono contingenze, nella storia di un Paese, in cui le ragioni di parte dovrebbero essere ampiamente superate dagli interessi generali. 

Right or wrong, is my country.

Nel “rumore di fondo” prodotto dalla seconda ondata del contagio, ha un ruolo non trascurabile anche l’opposizione. Divisa tra il desiderio di difendere le attività produttive (minacciate da un nuovo lockdown generale, che ormai non esclude più nessuno) e la voglia di criticare il Governo, se adotta una linea “soft” per non deprimere ulteriormente i cittadini. Pronta a festeggiare la rinuncia (definitiva?) al MES mentre protesta per la mancanza di organico e di risorse qualificate negli ospedali. Determinata al coprifuoco (parola ormai entrata nel “lessico familiare” della pandemia) nelle regioni del Nord Italia ma ostile alle misure più rigorose, nelle regioni governate dal centrosinistra (con l’eccezione della Campania). Chiudere tutto, mantenendo i livelli occupazionali.

In questo scenario, è iniziata in sordina la campagna elettorale nelle grandi città chiamate a rinnovare il proprio Sindaco nella primavera 2021, in particolare Roma, Milano, Torino. E’ evidente la miopia politica presente in una parte non trascurabile del cosiddetto “mondo cattolico”. Più in generale sarebbe auspicabile, da parte dei candidati (veri o presunti) una minore autoreferenzialità e una maggiore attenzione al profondo scollamento sociale tra “elettori ZTL” e “mondo di mezzo” delle periferie, situazione che il voto amministrativo dello scorso settembre ha fotografato in modo drammatico e che è destinato ad aggravarsi nei prossimi mesi.

Credo, in conclusione, che si debba ripartire dalle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “Non bisogna attestarsi a difesa della propria sfera di competenza ma, al contrario, cercare collaborazione, coordinamento, raccordo positivo. Perché soltanto il coro sintonico delle nostre istituzioni nella loro attività può condurci a superare queste difficoltà. E’ necessario che ogni ambiente, produttivo e professionale di ogni genere, eviti – come certamente avverrà – di trincerarsi nella difesa della propria nicchia”.