Le ragazze che si propongono di parlare in corsivo lo fanno per giocare con le parole. Che c’è di male? Eppure le reazioni sono state feroci. Da tempo i social sono una caienna infame di insulti, improperi, male parole. Ora, se vi trovano spazio ‘innocenti evasioni’ ciò contribuisce a mitigare toni e argomenti.
Circola da alcuni giorni in rete la “querelle” suscitata da un paio di amiche che hanno inventato su Tik –Tok il cosiddetto “linguaggio parlato corsivo”. In sé un non-senso verbale, poiché il corsivo è denotativo del linguaggio scritto, non di quello parlato. A differenza di coloro che sui social si sono scatenati con insulti, improperi e le solite prediche sui giovani nullafacenti ho trovato persino simpatica e originale questa “invenzione” lessicale che sta facendo proseliti di follower.
Le ragazze che parlano in corsivo intendono giocare con le parole, dar loro una cadenza che definiscono simile a quella dei giovani della Milano da bere e da fumare, stiracchiata, semidialettale, moderna e svincolata dagli schemi dell’ortodossia grammaticale e narrativa. C’è qualcosa di male? Non credo, anche perché loro stesse ne parlano come di un gioco, di un modo di esprimersi fuori dagli schemi strettamente ortodossi. Eppure chi si è scagliato contro questa giovanile invenzione linguistica ha messo in campo tutto l’armamentario peggiore dei sentimenti umani: c’è chi è arrivato ad augurare la morte a queste adolescenti. Solo per un gioco linguistico che esprime l’intelligenza del pensiero divergente.
Qualche giorno fa conversando con lui di montagna, Reinhold Messner ha definito i social “una rovina”. Se la piega che prendono certe scambi di battute al veleno è questa non si può dargli torto. Da tempo i social sono una caienna infame di insulti, improperi, male parole. La fogna virtuale della vita reale. Se vi trovano spazio ‘innocenti evasioni’ ciò contribuisce a mitigare toni e argomenti.
Esce invece la parte peggiore di noi, ci si riversano le peggiori nefandezze, nel web si aggirano predatori sessuali e altre amene schifezze: se qualche giovane frequentatore lo usa per un divertimento linguistico goliardico mi pare ingiusto screditarne l’immagine. Tanto più se si tratta di una innocente divagazione verbale. Nell’uno vale uno dei social non c’è battaglia epica di ideali ma solo esternazioni e opinioni di pubblici ministeri diffusi tra la gente comune. Perché siamo un popolo di navigators, influencer e maleducati. E come scrisse Tolstoj “tutti pensano a cambiare l’umanità ma nessuno pensa a cambiare se stesso”.